Burkina Faso: l’esercito francese cacciato dal Paese. Voci di giovani da Ouagadougou

Il 21 gennaio scorso l’Agenzia di Informazione del Burkina ha annunciato, per conto dello Stato, che le forze armate francesi hanno un mese esatto per lasciare il Paese. 

Dopo il richiamo per “consultazioni” dell’ambasciatore francese Luc Hallade da parte del Quai d’Orsay del 26 gennaio, questa settimana gli ultimi convogli francesi stanno liberando il campo di Kamboinsin, a Ouagadougou, dove si erano installati.

La cooperazione militare tra i due Paesi è finita, ma come ha affermato il portavoce del governo di transizione Jean-Emmanuel Ouédraogo,“la fine dell’accordo militare non implica la fine delle relazioni diplomatiche tra il Burkina Faso e la Francia”. 

C’è chi parla di rottura definitiva con la madrepatria e di un avvicinamento alla Russia; chi parla di un cambio di strategia che non esclude del tutto la Francia e chi parla, invece, dell’inizio di un processo di lungo periodo per la costruzione di una nazione più indipendente. Cosa pensa in questo momento delicato la gente?

“Non ce l’abbiamo con i francesi ma con la politica francese – afferma Mariam – la fine di questo accordo è dovuta al fatto che l’esercito francese non ha fatto nulla o quasi per migliorare la situazione da quando si è installato”. Mariam Compaoré è una signora burkinabè sulla cinquantina, da giovane ha vissuto nel pieno dell’epoca sankariana di cui appoggia in pieno i valori. “Quell’accordo non è mai piaciuto alla popolazione perché è stato Blaise a scriverlo in segreto con la Francia e dopo la rivoluzione del 2014 è stato firmato ufficialmente da un ministro delegato”. 

Il 9 gennaio 2015 veniva firmato effettivamente l’accordo tra Burkina Faso e Francia relativo al “distaccamento militare francese in Burkina Faso per la sicurezza nel Sahel” dal ministro delegato degli Affari Esterni, Moussa Nebie, e dall’ambasciatore francese Gilles Thibault.

La firma ha rappresentato un affronto per la popolazione che era scesa in piazza nel 2014 per scacciare la vecchia classe dirigente, ancora troppo legata e dipendente dalla madrepatria. Il governo instauratosi dopo Blaise e la rivoluzione, agli occhi della popolazione ha fallito nella sua missione di portare un cambiamento nella governance e nel modo di fare politica in Burkina Faso.

“La firma dell’accordo ha suscitato il malcontento della popolazione, ma nel 2015 molti vivevano ancora sull’onda dell’entusiasmo post-rivoluzione. Dal 2016 in poi la situazione a livello di sicurezza interna si è degradata e dal 2017 al 2022 abbiamo registrato un vistoso aumento della corruzione” – afferma Diallo, membro dell’Associazione dei giornalisti del Burkina (AJB).

“Questo significa che l’opinione pubblica ha cominciato ad associare l’incapacità del governo di gestire la situazione alla presenza poco efficace sul piano militare della Francia. La corruzione è sintomo di un mancato cambio di governance nel Paese e ai giovani questo non piace”.

La popolazione del Burkina Faso, in effetti, ha in media 17 anni e i giovani che sono scesi per le strade nel 2014 oggi sono coloro che contribuiscono alla creazione dell’opinione pubblica e sostengono il presidente  trentacinquenne, Ibrahim Traoré, anche lui un giovane.

“È giunto il momento di cominciare a fare anche noi quello che è meglio per il nostro Paese, l’accordo con la Francia non ce lo permetteva. Dobbiamo riuscire a diversificare la cooperazione militare e farcela con le nostre forze – dichiara Léonard Ouedraogo, un giovane laureato in economia.

“Ovviamente questo non significa che andremo a sostituire l’aiuto francese con quello russo, come piace raccontare a molti, non avrebbe molto senso passare da un colonizzatore all’altro. Quello che è certo è che ora bisogna diversificare i nostri interlocutori, se la Francia proporrà un accordo migliore non la escluderemo a priori” conclude.

Non tutti i giovani la pensano come Léonard, c’è chi è dichiaratamente pro Russia e la vede come antagonista alla Francia, ma i più hanno molti dubbi che la sola presenza russa possa fare la differenza, visto quanto sta succedendo in Mali, il Paese vicino.

Sicuramente, però, i giovani vogliono vedere dei risultati, sono stanchi della paura e del numero dei morti che continua ad aumentare. Molti si arruolano nei ranghi dei Volontari per la Difesa della Patria, altri cercano di far qualcosa per il proprio Paese lavorando a livello di società civile, altri scappano e riempiono le fila dei campi profughi che contano circa 2 milioni di sfollati interni.

“La fine dell’accordo può rappresentare un punto da cui ricominciare – afferma Mariam – è giunto il momento di ripensare allo sviluppo del nostro Paese e Sankara questa strada aveva cominciato a tracciarla”.

C’è tensione e attesa nell’aria, il presidente giovane ha molto da dimostrare ai suoi sostenitori, se sarà all’altezza del compito lo vedremo nei prossimi mesi, intanto la scelta di porre fine all’accordo militare con la Francia è stato percepito come un punto di partenza necessario per tentare pian piano di ricucire insieme i pezzi del Paese.

Giulia Tringali da Ouagadougou

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