A colloquio con Pietro Bartolo: «L’Europa non chiuda la porta ai migranti».

«Tra dieci o quindici anni quando mia nipote leggerà delle migliaia di morti nel Mediterraneo e mi dirà: “Nonno ma tu cosa hai fatto? Dov’eri? Tu eri un deputato, tu avevi una responsabilità, cosa hai fatto? Cosa le risponderò: che ho fatto dei film? Che ho scritto dei libri? Le dirò che in questo parlamento non sono riuscito a cambiare le cose…». In questo attimo preciso la voce di Pietro Bartolo si alza per un momento mentre le mani si abbandonano a un breve cenno di stizza indicando verso l’emiciclo, distante una manciata di metri, la sala in cui sta per riunirsi insieme agli altri 704 eurodeputati. È il momento più intenso della nostra intervista al parlamentare europeo, eletto nel 2019, e iscritto al gruppo dei Socialisti e Democratici. Un volto conosciuto ai più per il suo ventennale impegno come medico di Lampedusa, isola che gli ha dato i natali e a cui dimostra di essere intimamente legato. Lo abbiamo incontriamo a Strasburgo in occasione della plenaria di ottobre e ha accettato di rispondere alle nostre domande. Leggi la nostra intervista.

Onorevole partiamo da Frontex, l’agenzia Europea per le frontiere. Nella plenaria di ottobre il Parlamento Europeo ha dato parere negativo al cosiddetto “discarico” del bilancio dell’agenzia. In poche parole una bocciatura. Ci spiega perché?
«Frontex ha un mandato specifico: sorvegliare le frontiere. Come Parlamento siamo stati favorevoli, in passato, al rafforzamento dell’agenzia portando gli operativi a 10 mila unità e il budget a 800 milioni, ma questo non significa permettere a Frontex di attuare comportamenti che sono contrari al proprio mandato arrivando persino ad essere responsabile di violazioni dei diritti umani.
Un rapporto redatto da Olaf (l’Ufficio europeo per la lotta anti-frode), ha recentemente accusato i vertici di Frontex di gravi scorrettezze e irregolarità nella gestione dei fondi e di aver concorso ai respingimenti. Questo è inaccettabile!»

Le conclusioni del rapporto erano state anticipate alcuni mesi fa dai media e avevano portato alle dimissioni del direttore dell’agenzia, il francese Fabrice Leggeri, e di tre alti funzionari…
«Era da tempo che il Parlamento Europeo provava ad avere delle risposte, invano. Nel frattempo ci sono state queste dimissioni, ma nessun provvedimento è stato ancora preso nei confronti dei responsabili. Ora è stata nominata una nuova direttrice ad-interim, la lettone Aija Kalnaja e la nostra speranza è che l’agenzia possa riformarsi: come Parlamento avevamo proposto alcune linee di intervento a cominciare dalla nomina di alcuni osservatori. Ne avevamo chiesti 40, ma al momento ne sono stati nominati 34. Inoltre si tratta di una commissione interna a Frontex, quando noi avremmo preferito fosse un soggetto esterno. La speranza è che questi cambiamenti possano ridare fiducia all’agenzia il cui compito principale è controllare le frontiere e non dedicarsi alla mera caccia al migrante».

Fonte: Ministero dell’Interno

I dati più recenti raccontano di un aumento dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo (anche se siamo lontani dai picchi del triennio 2014-2016). In Italia, secondo il Ministero dell’Interno, nel corso del 2022 sono sbarcate 82.384 persone (a fronte delle 53.189 del 2021) mentre i morti e i dispersi nel Mediterraneo da inizio anno sono 1579 (dato UNHCR). Teme che la guerra in Ucraina e la crisi energetica possano far cadere ancora una volta queste morti nell’indifferenza?
«Purtroppo la guerra ha catalizzato tutta l’attenzione e di ciò che succede lungo le rotte migratorie non si parla più. Anzi la sensazione è che se ne parli per favorire un’ulteriore chiusura e una demonizzazione dei migranti. Quando parlando di migranti sento dire che bisogna “proteggere le frontiere dai nemici”, mi chiedo “ma dove sono questi nemici?”. Sono forse nemici queste donne che arrivano con i loro bambini o questi giovani carichi di sogni. Sono solo poveri disgraziati che vengono a cercare un po’ di serenità».

L’attuale legislatura si è aperta con la proposta di riformare il sistema Dublino per la gestione dell’accoglienza e del diritto di asilo. Come vanno i lavori? Si arriverà ad un nuovo regolamento prima di fine legislatura?
«Purtroppo il clima a livello europeo non è buono e siamo in grande difficoltà nel trovare un compromesso. La presidente della Commissione, Von der Lyen, ha presentato una proposta che però non scardina quelli che sono, per quanto mi riguarda, le fragilità del regolamento di Dublino: ovvero il principio del primo Paese di ingresso – che fa cadere il peso dell’accoglienza sui Paesi di sbarco – e il “no” ad un meccanismo obbligatorio di ridistribuzione dei migranti. In fondo penso che se siamo riusciti a parlare con una voce sola di fronte alla pandemia, ai vaccini o alla direttiva 55 per l’accoglienza dei profughi ucraini perché non possiamo esserlo anche nei confronti degli altri?»

La gestione dei flussi migratori provocati dalla guerra in Ucraina rappresenta un modello virtuoso da replicare…
«Abbiamo dimostrato come oltre 5 milioni di persone possano essere accolte nel giro di qualche mese senza che nessun sistema sia andato in crisi. Abbiamo messo a disposizione tutto quello che prevede lo status di rifugiato: il diritto alla casa, all’istruzione, alla sanità. Certamente abbiamo avuto una grossa mano dalle famiglie europee che hanno dato un esempio straordinario di accoglienza anche in quei Paesi come la Polonia dove i governi sono invece spesso tra i più duri quando si parla di migrazioni. Perché allora non dovremmo fare lo stesso per chi arriva dall’Afghanistan, dalla Siria o per chi scappa non dalla guerra, ma dalla fame? Semplicemente perché non sono cristiani o non hanno i capelli biondi? Un mese fa ci sono stati dei bambini che sono morti di sete su una nave al largo di Malta. Li abbiamo lasciati lì a morire e nessuno ha fatto nulla. Questa è una vergogna. È un atto immorale».

Da cittadino di frontiera, come lo siamo un po’ anche noi in Diocesi di Como, sa bene che sono proprio le terre ai margini a dover pagare il prezzo più caro delle politiche migratorie…
«C’è un tema di solidarietà che non può essere demandato e nemmeno ridotto al mero trasferimento di denaro di cui spesso non beneficiano le comunità locali. Ma io mi chiedo: perché davanti a questa situazione la Grecia non si ribella? L’Italia non si ribella? La Spagna non si ribella? A Lampedusa c’è un centro che è sempre sovraffollato, dovrebbe ospitare 300 persone e ora ce ne sono 700. Questo è un grosso problema per tutti: per chi lo gestisce, per le forze dell’ordine, ma soprattutto per questi disgraziati appena arrivati dal mare. Noi siamo la porta d’ingresso d’Europa, una porta che non può essere chiusa perché come si fa a chiudere il mare? Ma al tempo stesso non capisco l’atteggiamento anche del governo italiano, che sembra soccombere alle richieste dell’Europa, che non riesce ad andare oltre i veti dei Paesi di “Visegard” e pretendere una risposta europea. Il fenomeno migratorio – ed uso volutamente questo termine al posto di “problema” – deve essere gestito con intelligenza perché può trasformarsi in un’opportunità. Lo dimostra la nostra storia quando siamo partiti per fare la ricchezza di interi Paesi. Penso alla Germina, alla Svizzera, all’Australia al continente americano. Perché non può essere così anche oggi?»

Michele Luppi
questa intervista è stata pubblicata anche su “il Settimanale.

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