Il Summit Ue-Africa e quel bisogno di guardare al presente senza dimenticare il passato

Kamara, Keita, Mamadou. Mentre un sole che sembra già di primavera mi accarezza il viso cammino tra le lapidi del cimitero di Trabuquet a Mentone. Un luogo davvero unico e suggestivo costruito su delle balze strappate alla montagna sopra la cittadina di confine, a pochi passi da Ventimiglia. Con lo sguardo basso vedo scorrere davanti ai miei occhi i nomi di questi giovani impressi sulla fredda pietra. Sotto il loro nome la data della morte recita 1916, 1917 in qualche caso 1918. In cima alla stele la croce cristiana si alterna alla mezzaluna e alla stella simboli dell’Islam.

Percorro lentamente uno dei viali del cimitero quando la mia attenzione viene catturata da una statua posta in uno spiazzo tra una distesa di lapidi bianche: un uomo in piedi, un soldato dai lineamenti africani, sembra marciare con lo sguardo fisso in avanti ad attraversare il mare fino a raggiungere le sponde dell’Africa.

È il monumento con cui lo stato francese ha voluto ricordare i “tirailleurs senegalesi”, soldati arruolati nei territori delle colonie e portati a combattere e a morire qui, nel corso della Prima guerra mondiale.

Sono 1.137 quelli sepolti solo in questo cimitero a pochi passi dalla frontiera italiana: una piccola parte dei 607 mila soldati che tra il 1914 e il 1918 sono stati arruolati dalla Francia nelle colonie:  294 mila in Nord Africa, 171 mila nell’Africa occidentale francese, 49 mila in Indocina, 41 mila in Madagascar, 23 mila nei carabibi, 18 mila in Africa equatoriale, 11 mila nell’Oceano Pacifico.

Al mio fianco don Rito Alvarez sacerdote della Diocesi di Ventimiglia – Sanremo da tempo impegnato nell’accoglienza dei migranti che dal 2015 (anno in cui la Francia ha deciso di rintrodurre i controlli alle frontiere) hanno iniziato a rimanere bloccati per giorni, a volte mesi, nella città ligure.

«Oggi leggiamo questi nomi – confessa don Rito, a voce bassa – vediamo il loro sacrificio celebrato da un monumento che recitano la dicitura “morti per la Francia”. Eppure sono gli stessi nomi dei migranti africani che pochi chilometri più in là vediamo respinti e umiliati da quelle stesse autorità che qui ne celebrano il ricordo. Sono i nipoti o i pronipoti di quei soldati, provengono dagli stessi Paesi, ma per loro resta solo un confine chiuso, pieno di pericoli».

Il riferimento del sacerdote è alla situazione di Ventimiglia, ai migranti senza un tetto, ai morti della frontiera – l’ultimo dei quali è rimasto carbonizzato sul tetto di un treno il 1° febbraio scorso – alle “gabbie” costruite dalle autorità francesi alla dogana dove vengono rinchiusi per il tempo di una notte i migranti sorpresi a varcare illegalmente il confine in orario serale (quando la consegna alle autorità italiane per la riammissione non è possibile).

Quella di Trabuquet è una bella prospettiva da cui guardare al sesto vertice Unione europea-Unione africana che si è aperto questo pomeriggio a Bruxelles radunando per poco più di 24 ore capi di stato e di governo di Africa ed Europa per parlare del partenariato UA-UE.

Tanti i temi sul tavolo: non solo – per fortuna – le migrazioni (anche se avranno ancora un posto centrale nelle discussioni, soprattutto da parte Europea), ma anche educazione, scienza e tecnologia, pace e governance, rapporti commerciali e culturali, la lotta ai cambiamenti climatici e sviluppo di energie rinnovabili.

Purtroppo gli organizzatori del Summit non sono fortunati: il vertice più volte rinviato a causa della pandemia si apre nel pieno della più grave crisi che l’Europa abbia attraversato negli ultimi decenni con il rischio reale che la testa dei presenti sia altrove.

Fisso le lapidi di Trabuquet e penso che sarebbe bello se i leader al termine di questa due giorni passassero di qui. Sarebbe l’occasione di provare ancora una volta a tenere insieme il passato e il presente, la memoria e le sfide attuali. Consapevoli di come i legami tra Africa ed Europa siano più radicati e profondi di quanto potremmo immaginare.

I corpi di questi soldati caduti e i volti dei migranti accampanti lungo il fiume Roja sono qui a ricordarcelo.

MICHELE LUPPI

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