L’UE verso la revoca delle sanzioni al Burundi. La protesta dei difensori dei diritti umani

Ci vorrà ancora del tempo prima di vederne gli effetti, ma la strada sembra essere tracciata: l’Unione europa ha annunciato l’avvio dell’iter per la rimozione delle sanzioni imposte al Burundi nel 2016 a seguito delle violazioni dei diritti umani intensificatesi dopo il fallito colpo di stato del 2015.

Le sanzioni erano state applicate secondo l’articolo 96 dell’accordo di Cotonou:

Nell’ambito dell’accordo di Cotonou, l’UE e i paesi ACP riconoscono che i diritti umani, i principi democratici e lo stato di diritto sono elementi essenziali del loro partenariato e pilastri fondamentali per lo sviluppo a lungo termine. Essi si impegnano a proteggerli e a promuoverli, in particolare attraverso il dialogo politico.

L’accordo prevede anche una procedura che può essere utilizzata nei casi in cui una delle parti non rispetti i principi fondamentali esposti sopra.

Questo articolo è stato applicato circa 15 volte dal 2000, in seguito a rovesciamenti di governo violenti, escalation di violenza o violazioni dei diritti umani. Tra questi ricordiamo lo Zimbabwe (2002), Repubblica Centrafricana (2003), Guinea-Bissau (2004, 2011), Togo (2004) e Madagascar (2010).

A comunicare la decisione dell’Unione europea è stato l’ambasciatore UE in Burundi, Claude Bochu, ricevuto (si veda la foto in apertura) dal capo di Stato Evariste Ndayishimiye, che è succeduto al presidente Pierre Nkurunziza, al potere dal 2005 alla sua morte l’8 giugno 2020.

Le decisione dell’Unione europea è stata però criticata in una lettera aperta – inviata all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell e ai ministri degli esteri dei 27 Paesi Ue – da 12 organizzazioni, europee e africane, che si occupano di protezione dei diritti umani. Tra loro anche l’ European Network for Central Africa (EurAc),  Human Rights Watch e la Burundi Human Rights Initiative.

Leggi la lettera aperta 

Le critiche da parte delle organizzazioni della società civile vanno in due direzioni: da una parte si punta il dito contro l’impunità per i crimini commessi negli ultimi anni, specie nella repressione post-2015, dall’altra ci si chiede se davvero con l’avvento del presidente Ndayishimiye ci sia stato un cambio di passo nella tutela dei diritti umani.

Un recente rapporto (leggi qui) pubblicato in giugno dalla Burundi Human Rights Initiative dimostrerebbe il contrario.

“Ad un anno dalla sua investitura il presidente ha mantenuto la parola data?” Si chiedono gli attivisti. Forse, come sottolineano alcuni burundesi intervistati, è ancora troppo presto per giudicare il nuovo corso, ma le pressioni del partito al potere e il ruolo dei servizi di sicurezza sembrano ad oggi rimasti immutati.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.