Come sono fatti un miliardo di dollari? Forse dovremmo chiederlo a Dan Etete, ex ministro del petrolio nigeriano, e figura chiave del “Processo del secolo” che, al Tribunale di Milano, va verso la sentenza di primo grado.
Dopo circa due anni di dibattimento il processo in corso a Milano sull’OPL 245 è giunto alle fasi conclusive: la sentenza è attesa per il 17 marzo, quando si riunirà la camera di consiglio, o in subordine il 31 marzo.
C’è chi parla di “Processo del secolo” e, forse, non sbaglia: per il coinvolgimento di due giganti del settore petrolifero, come Eni e Shell, per l’ammontare dell’investimento 1,3 miliardi di dollari e per il peso degli imputati: nel 2017, Eni, Shell e 13 tra manager, politici e intermediari sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di corruzione internazionale per l’acquisizione del blocco petrolifero offshore. Nessuna azienda grande come la Royal Dutch Shell è mai stata processata per reati di corruzione.
Nel frattempo, per la stessa vicenda, ci sono stati già due pronunciamenti, nei confronti dei due intermediari Emeka Obi e Gianluca Di Nardo. Nel settembre del 2018, dopo il rito abbreviato sono stati condannati entrambi a quattro anni di reclusione.
Ma cos’è l’OPL 245?
OPL 245 è la sigla che indica un immenso blocco petrolifero acquisito nel 2011 da due giganti del settore petrolifero – Eni e Shell -, una sorta di Eldorado offshore dell’oro nero, dal momento che le sue riserve stimate ammontano a 9,23 miliardi di barili di greggio. Per intenderci l’intera Nigeria – principale produttore africano di greggio – ne produce circa 2 milioni al giorno che, calcolatrice alla mano, fa 730 milioni all’anno…
Il giacimento è stato assegnato nel 1998 per 20 milioni di dollari – una frazione del suo valore attuale – alla Malabu Oil & Gas, una società segretamente di proprietà dell’allora ministro del Petrolio nigeriano Dan Etete. Nel 2011, il blocco è stato poi ceduto a Shell ed Eni in cambio di un pagamento di 1,3 miliardi di dollari, di questi 1,1 miliardi sono stati trasferiti alla Malabu invece che allo Stato nigeriano, che avrebbe agito solo da tramite per la società di Etete e i suoi sodali.
Allo stato nigeriano sono andati solo 200 milioni.
Etete, uno dei fedelissimi del dittatore Sani Abacha, è sempre rimasto il beneficiario occulto della Malabu.
Il processo
La vicenda processuale è iniziata nel settembre 2013 tramite un esposto alla Procura della Repubblica di Milano firmato da tre ONG: l’italiana Re:Common, la britannica The Corner House, e l’angloamericana Global Witness chiesero di aprire indagini sull’acquisizione del Blocco OPL 245 da parte delle compagnie petrolifere Eni e Shell.
Sulla stessa vicenda la magistratura britannica ha deciso invece di non procedere: il 22 maggio 2020 la High Court of Justice di Londra ha negato la propria giurisdizione in materia di OPL 245, respingendo la causa promossa dal Governo Federale della Nigeria.
L’accusa: corruzione internazionale
In questi due anni i magistrati della Procura della Repubblica di Milano hanno ricostruito tutta la fitta rete di trasferimenti del denaro di Eni e Shell, inizialmente transitato per un conto londinese riconducibile al governo di Abuja, ma poi subito dispersosi in mille rivoli per andare a ingrossare, si ipotizza, i conti correnti di politici nigeriani di alto livello intermediari e manager dello stesso Cane a Sei Zampe.
L’intera vicenda è stata ricostruita nei giorni scorsi – tra gli altri – dal team di Milena Gabanelli per il Corriere della Sera che così riassume l’ipotesi corruttiva:
Nei documenti sequestrati ai dirigenti Shell c’è lo schema di pagamento, proposto da Eni a settembre 2010, in un’equazione: X + SB + Y = Z. Dove X è il valore che Eni è pronta a pagare (800 milioni), SB è il bonus di firma che Shell aveva depositato da anni a favore del Governo nigeriano (207 milioni); Y è l’importo di Shell (165 milioni), Z invece è il totale da pagare a Etete che sarà accettabile da tutti i players (cioè il governo): 1,172 miliardi. La cifra sarà poi ritoccata al rialzo. Questa secondo l’accusa è la prova della corruzione. Per la difesa nulla di più di una suggestione: il contratto è stato firmato con il governo nigeriano, i soldi sono stati versati sul conto di Londra intestato al governo. I giudici stabiliranno se i dirigenti di Eni e Shell erano consapevoli che il beneficiario finale sarebbe sempre stato Etete e che, in realtà, al governo nigeriano sarebbero arrivati poco più di 200 milioni.
La difesa di Eni
Da parte sua la compagnia italiana ha sempre respinto le accuse. Sul sito istituzionale di Eni è disponibile un’ampia sezione intitolata “La verità sul caso OPL 245” con ampia documentazione inerente al processo.
«Eni confida che la verità verrà al più presto ristabilita. Anche perché la licenza esplorativa sul Blocco 245 spira nel 2021 senza che il Governo Federale della Nigeria abbia ancora trasformato la licenza esplorativa in licenza di produzione. Ad oggi, non un solo barile è stato estratto dal Blocco», si legge sul sito di Eni.
A rischio l’intera concessione
Pur non avendo revocato a Eni e Shell la licenza d’esplorazione petrolifera, il Governo nigeriano, infatti, non l’ha però mai trasformata in licenza estrattiva (OML) bloccando così dal 2011 a oggi la messa in produzione del giacimento. Gli investimenti già effettuati dalla due compagnie nell’esplorazione ammontano a 2,5 miliardi di dollari. Per questo i colossi petroliferi hanno avviato nel settembre 2019 un arbitrato proprio contro la Nigeria presso l’International Centre for Settlement of Investment Disputes (ICSID), l’organizzazione della Banca mondiale che giudica sulle contese contrattuali internazionali.
La OLP 245 scade nel maggio 2021.
Mancano dunque pochi mesi prima che i diritti acquisiti vadano in fumo, come del resto si sono volatilizzati i fondi versati al governo nigeriano, poi girati ad Etete e spariti in un rivolo di conti off-shore sparsi per il mondo: soldi che sono andati ad ingrassare politici e faccendieri in Africa come in Europa.
Michele Luppi