L’Italia si prepara alla guerra nel Sahel (ma nessuno lo sa)

Sarà per l’attenzione concentrata sul Covid e sui dubbi che riguardano la ripresa della scuola o, più semplicemente, sarà stato il caldo dell’estate e la mente ormai in ferie.

Sta di fatto che è passata nell’indifferenza generale, il 16 luglio scorso, l’approvazione da parte del Parlamento italiano del nuovo decreto missioni che prevede lo stanziamento di un contingente militare italiano in Mali.

Fonte: Camera dei Deputati

Una notizia che torna di stretta attualità dopo il colpo di stato che ha portato alla destituzione del presidente Keita e l’instaurazione nel Paese di una giunta militare.

Nella scheda preparata dal Ministero della Difesa per Camera dei deputati si legge:

L’Italia partecipa alla Task force TAKUBA con un contributo di 200 unità di personale militare, 20 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei. Il fabbisogno complessivo per il 2020 è pari a euro 15.627.178, di cui euro 5.000.000 per obbligazioni esigibili nell’anno 2021.

La Relazione analitica fa presente che “gli assetti nazionali, integrati all’occorrenza da unità delle forze speciali”, potranno essere eventualmente impiegati a supporto delle attività delle altre missioni nell’area del Sahel cui già l’Italia (bilaterali, ONU, UE). Si ricorda che l’Italia è impegnata nel Sahel con la missione bilaterale in Niger, partecipa alla missione dell’ONU MINUSMA, nonché alle missioni dell’UE EUTM Mali, EUCAP Sahel Mali e EUCAP Sahel Niger. Le attuali condizioni di sicurezza del Sahel destano preoccupazione, poiché da questa regione originano traffici e flussi migratori illegali, violenza diffusa e terrorismo, con un diretto impatto sulla sicurezza del nostro continente.

La forza multinazionale Takuba si inserisce nel nuovo quadro politico, strategico e operativo ribattezzato “Coalizione per il Sahel” (su cui v. infra), che riunisce sotto comando congiunto la forza dell’Opération Barkhane[3] (a guida francese) e la Force conjointe du G5 Sahel (FC-G5S)[4], al fine di coordinare meglio la loro azione concentrando gli sforzi militari nelle tre aree di confine (Mali, Burkina Faso e Niger).

La partecipazione italiana alla Task Force TAKUBA, oltre a fornire un contributo al rafforzamento delle capacità di sicurezza nella regione del Sahel, risponde, altresì, all’esigenza di tutela degli interessi nazionali in un’area strategica considerata prioritaria

Il mandato della Task force prevede:

–       fornire attività di consulenza, assistenza, addestramento e mentorship a supporto delle forze armate e delle forze speciali locali;

–       provvedere alla consulenza, nell’ambito del processo di potenziamento della componente terrestre e di forze speciali locali, funzionale al mantenimento di un adeguato livello di sicurezza e di contrasto al terrorismo;

–       supportare le forze armate e le forze speciali locali nel potenziamento delle capacità di contrasto alle minacce per la sicurezza derivanti da fenomeni di natura terroristica transnazionale e/o criminale;

–       fornire gli enabler per la condotta di operazioni di contrasto al terrorismo, in particolare, mezzi elicotteristici e personale per l’evacuazione medica.

A preoccupare è, soprattutto, l’ambiguità della frase “supportare le forze armate e le forze speciali locali nel potenziamento delle capacità di contrasto alle minacce per la sicurezza…” che lascia intuire un possibile coinvolgimento diretto dei nostri soldati nella guerra.

L’operazione francese presente nel Sahel

Dell’impegno italiano per la verità si conosce poco: come scriveva il collega Andrea de Georgio su Internazionale la base della missione sarebbe Ansongo, sperduta località del nord Mali, il raggio d’azione (il feudo jihadista del Liptako-Gourma, la cosiddetta zona “delle tre frontiere” a cavallo fra Mali, Niger e Burkina, dove regnano gruppi legati ad Al Qaeda e allo Stato Islamico) e l’onere finanziario (quasi 16 milioni di euro per il solo 2020).

Secondo Camillo Casola, ricercatore del programma Africa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), oltre che dalle tempistiche incerte la “dimensione scivolosa” della prossima missione italiana è causata anche dalla scarsa chiarezza sulle regole d’ingaggio.

I dubbi vertono anche sui pericoli a cui verrà esposto il contingente italiano considerando i 43 soldati francesi morti dall’inizio dell’intervento in Mali nel gennaio 2013.

Non è chiaro se e come le recenti vicende politiche maliane porteranno ad un rinvio della partenza dei soldati italiani o ad un ripensamento della missione.

Ma una domanda di fondo resta: l’Italia (e la sua opinione pubblica) è davvero pronta ad un’altra guerra? E, soprattutto, la Costituzione permette un intervento di questo tipo?

Domande che meriterebbero una risposta consapevole e senza ambiguità.

Michele Luppi

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