Corruzione in Nigeria: a Milano il “processo del secolo” contro Eni e Shell verso la sentenza

Sarà che è piena estate e che il caldo, specie a Milano, inizia ad annebbiare i pensieri. Sarà che siamo in pieno post Covid e la possibilità, fino ad alcuni mesi fa remota, di poter andare in vacanza è oggi per molti un sogno divenuto realtà. Sarà che la vicenda è complessa e non riassumibile in un titolo o in un semplice post, ma sembra non esserci molta attenzione da parte dell’opinione pubblica e dei mezzi di informazione, per quello che sta andando in scena al Tribunale di Milano dove si attende la sentenza di primo grado del processo “Opl 245”.

Non un processo qualunque: si tratta, infatti, del procedimento che vede alla sbarra due giganti del settore come Eni e Shell accusati di aver versato una presunta tangente da 1,1 miliardi di dollari per ottenere dal governo nigeriano i diritti di sfruttamento sul giacimento petrolifero Opl 245.

Non a caso c’è chi ha parlato di “processo del secolo”.

A chiamare in causa Eni e Shel nel 2013 sono tre ONG: l’italiana Re:Common, la britannica The Corner House e l’angloamericana Global Witness insieme a Dotun Oloko, cittadino nigeriano che vive nel Regno Unito

«Dopo quarantacinque udienze in due anni – scrivono i giornalisti di Irpi Media (sul cui sito è possibile seguire la vicenda), i pubblici ministeri Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro inizieranno la requisitoria che dovrebbe occupare due date piene nel corso del mese di luglio. Alla sbarra, fra gli altri, l’allora amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni e l’allora Direttore generale della divisione esplorazione e produzione Claudio Descalzi, poi successore dello stesso Scaroni alla guida del Cane a sei zampe. Capo d’imputazione principale è concorso in corruzione internazionale aggravata: Eni, insieme a Shell, si sarebbe aggiudicata la licenza di esplorazione petrolifera Opl 245, un giacimento offshore in Nigeria dal valore stimato di 9 miliardi di barili, a seguito del pagamento di una tangente da 1,1 miliardi di dollari. Secondo l’ipotesi dell’accusa, smentita dalla società, gli allora manager di Eni avrebbero incassato “retrocessioni” per 50 milioni di euro.

La vicenda in sintesi nel video di Re_Common

Per conoscere le puntate precedenti di questa storia vi segnaliamo l’importante lavoro portato avanti in questi anni sempre da Re:Common e dalla rivista Valori.

In questo e-book (scaricabile gratuitamente) raccontano un caso globale, che ha o ha avuto diramazioni in Nigeria, Regno Unito, Svizzera, Paesi Bassi e Stati Uniti. Un precedente di buona cooperazione penale internazionale tra Italia e Svizzera e per la prima volta anche tra il nostro Paese e la Nigeria.

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Negli articoli emerge il ruolo oscuro svolto dai servizi segreti di ben quattro paesi in tutta questa complessa vicenda, così come salgono a galla gli intrighi di potere e i problemi di governance all’interno del consiglio di amministrazione della più grande multinazionale italiana, l’Eni. Non mancano i presunti complotti per far deragliare tutta l’inchiesta, i rapporti confidenziali che ammettono scomode verità, i testi dall’identità incerta che si rimangiano la parola e gli aspri confronti tra uno dei più famosi magistrati italiani, Fabio De Pasquale, e il gotha degli avvocati penalisti del nostro Paese, compresa l’ex ministro della Giustizia Paola Severino.

Le replica di Eni

La posizione di Eni – che ha sempre respinto le accuse – è ampiamente dettagliata in un’apposita sezione del sito internet della compagnia in cui si legge:

Il Blocco 245 non configura un diritto di sfruttamento di un giacimento, ma una opportunità esplorativa, che ha richiesto significativi investimenti, nell’ordine di svariati centinaia di milioni, e che richiederà ulteriori investimenti pluriennali, nell’ordine di miliardi, prima che possa eventualmente essere avviata l’attività produttiva vera e propria nel giacimento petrolifero. A oggi non un solo barile è stato estratto.

L’acquisizione del Blocco OPL 245 da parte di Shell ed Eni è stata oggetto, fin dal 2011, di ricostruzioni non corrette e speculative. In particolare, sono almeno 7 i punti non corretti formulati sia dalle ONG firmatarie degli esposti alla Magistratura e alle Autorità di vigilanza sia da alcuni organi di informazione. Con queste interpretazioni si vorrebbe negare la correttezza e la trasparenza di Eni. Nell’esposizione che segue, sarà dimostrato attraverso dati oggettivi e documentali come Eni abbia operato nel pieno rispetto delle leggi e delle procedure aziendali.

Per maggiori dettagli sulla posizione di Eni (clicca qui)

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