Mettere l’Africa in prima pagina. La lettera della viceministro Del Re al Corriere

Pubblichiamo di seguito la versione integrale della lettera della viceministro agli Affari esteri Emanuela Del Re pubblicata sul Corriere della Sera del 18 febbraio 2020 dal titolo “Un futuro possibile in Afria”. (La lettera è tratta dal sito della Farnesina).

La viceministro del Re al centro

Caro direttore, di ritorno da una proficua missione in Senegal, mi chiedo come si possa rilanciare l’Africa nella narrativa italiana. Il presidente Conte, il ministro Di Maio e altri rappresentanti di governo si sono recati in Africa, dove io stessa ho compiuto numerose missioni. Dei 22 Paesi prioritari della Cooperazione allo sviluppo, 11 sono in Africa, e nei restanti Paesi vi sono molti scambi e attività inclusa un’attiva cooperazione in materia migratoria. Eppure l’Africa sembra restare nell’immaginario collettivo italiano un’area in cui si può intervenire solo nell’ambito dell’aiuto umanitario. Niente di più lontano dalla realtà.

Se guardiamo a cosa accade nel continente, ci accorgiamo che gli interlocutori e partner dell’Africa stanno intensificando i loro rapporti sia perché vedono opportunità di investimento e commercio, sia per le questioni di sicurezza. Non solo la Cina: Brasile, Paesi europei, Russia, Turchia, Corea del Sud, Giappone, Paesi del Golfo, India e altri. C’è un viavai continuo in Africa, con firme di accordi economici, investimenti.

Questi rapporti di fatto hanno reimpostato il continente, in cui stanno emergendo alcuni leader cosmopoliti e con visioni innovative. Un dinamismo in cui noi italiani ci siamo ritagliati un ruolo con le nostre imprese, i militari nelle basi nel Sahel, a Gibuti e in Somalia — per citarne alcune — la ricerca in particolare nel settore aerospaziale e archeologico, i progetti nell’ambito dell’agricoltura per lo sviluppo sostenibile e molto altro. Ma non se ne parla.

Il Sudafrica, che ho visitato lo scorso dicembre, è il Paese con il quale intratteniamo lo scambio commerciale di gran lunga più alto in tutta l’Africa sub-sahariana, ma dal 2007 non c’era stata una visita ufficiale e i risultati della mia missione non hanno suscitato interesse nella stampa. Nel Sahel ci stiamo affacciando da poco, con le recenti aperture dell’ambasciata in Niger e Burkina Faso, e un nostro ruolo maggiore è fortemente auspicato dal Paesi dell’area.

Nel Corno d’Africa stiamo ristabilendo rapporti forti, costanti, intensi e diretti. La forza del nostro soft-power sta nell’attrazione che tutti provano per il modo di vivere italiano e nella frase che tutti gli africani — dai capi di Stato ai cittadini — mi ripetono, ovvero che l’Italia non ha un’agenda nascosta e per questo è accolta con estremo favore e serenità. Peraltro, aggiungo, sappiamo offrire qualità, innovazione basata sulla tradizione, e vera sostenibilità, il che risponde alle esigenze attuali di molti contesti africani e agli imperativi dell’Agenda 2030.

Siamo un grande Paese, e dobbiamo accelerare sull’Asia, sui grandi mercati, certo, ma dobbiamo anche acquisire una visione per un investimento che si ripaga nel lungo termine, è vero, ma con grande ritorno sul capitale, perché vi sono indicatori importanti come la crescita demografica rapidissima dell’Africa che offre ai mercati sia nuovi consumatori sia nuovi lavoratori. Bisogna vedersi in Africa per capire cosa accade, guardare al mondo anche dalla latitudine degli africani. Il mercato delle telecomunicazioni è immenso. L’industria del cibo è in crescita vertiginosa così come le energie rinnovabili (settori in cui l’Italia è già presente ma può fare di più). La produzione culturale è straordinaria: lo hanno capito i cinesi che costruiscono musei per gli africani.

Sul piano multilaterale, fondamentale, dobbiamo tener conto inoltre dell’influenza politica dei Paesi dell’Africa, dove hanno sede diverse organizzazioni internazionali, prima fra tutte l’Unione Africana, considerando anche che molte delle cariche più alte delle Nazioni Unite sono ricoperte da Africani. Peraltro il continente costituisce il gruppo di Paesi più consistente nelle votazioni nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il mondo è un villaggio oggi, e le capanne zulu non sono più distanti o diverse dalle nostre metropoli, perché siamo tutti proiettati verso un futuro condiviso che impone uno sviluppo condiviso.

Come rilanciare l’Africa, caro direttore? Cambiando la narrativa uscendo dagli stereotipi orientalisti che ormai appartengono a un passato veramente remoto — siamo già oltre il post-colonialismo! — guardando oltre la prospettiva dei cinque anni, ragionando su quanto siamo interconnessi e interdipendenti e quanto i nostri problemi siano i loro e viceversa, parlando un linguaggio afro-italiano più universale con tutti, sviluppando strategie con le diaspore. L’Italia può e deve farlo: in un processo di sviluppo in cui il ritmo del progresso dell’Africa è accelerato, non possiamo restare indietro proprio noi che abbiamo le qualità per creare partnership solide, oneste e proficue con tutti e per tutti. È ora di mettere l’Africa in prima pagina.

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