Una premessa obbligatoria: per quanto profondamente diverso nei toni – spinti fino all’ostentazione – e fatto salvo per la decisione di chiudere i porti (vera grande novità del governo Lega-M5S) l’approccio del Ministro degli Interni Matteo Salvini alle questioni migratorie non fa che proseguire e portare fino alle estreme conseguenze la linea tracciata dal suo predecessore Marco Minniti: stesso approccio con la Libia, basato sul finanziamento della Guardia Costiera in cambio del blocco delle partenze, stessa volontà di esternazionalizzazione delle frontiere esterne verso Niger e Sudan (ci siamo dimenticati della “naufragata” missione in Niger?). Anche le richieste all’Unione europea, seppur all’interno di una dialettica radicalmente cambiata nelle prospettive (da forza convintamente europeista a forza antisistema, almeno nei toni), vanno nella direzione di una condivisione europea degli sforzi e la proposta di un sistema obbligatorio di ripartizione dei richiedenti asilo in base a quote nazionali.
Ma, al di là delle politiche migratorie – perché la relazione tra Europa e Africa è ben più complessa! – c’è qualcosa che rischia di cambiare in maniera radicale con il nuovo governo.
Mi riferisco al più generale approccio dell’Italia al continente africano.
Una galassia di 54 Paesi con una popolazione giovane e dinamica come dimostra il cammino, attualmente alle fase iniziali, verso la costituzione dell’African Continental Free Trade Area, la più grande area di libero scambio al mondo, con un mercato potenziale di 1,2 miliardi di persone e un PIL complessivo di 2500 miliardi di dollari.
Un’Africa di cui troppo poco si parla sui giornali italiani, ma che esiste e cresce.
E l’Italia, almeno negli ultimi anni, sembrava averne compreso le potenzialità con un dinamismo politico ed economico senza precedenti: grazie anche all’attivismo di Eni (non senza ombre) l’Italia è oggi il terzo Paese per investimenti nel continente (11 miliardi di dollari nel solo 2016) – dietro solo a Cina e Emirati Arabi – e il settimo partner commerciale con un interscambio annuo del valore di 31,5 miliardi.
Se guardassimo oltre la retorica dell’invasione scopriremmo ad esempio che l’Italia è da pochi mesi il primo partner commerciale della Tunisia.
Una crescita di relazioni non solo economiche, ma anche politiche come dimostrano i viaggi delle principali istituzioni del Paese al continente africano.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto visita in Etiopia e Camerun nel 2014, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha toccato Angola, Mozambico e Congo Brazaville (2014); Kenya ed Etiopia (2015), Nigeria, Ghana e Senegal (2016).
Il presidente del Consiglio Gentiloni ha visitato Tunisa, Angola, Ghana e Costa d’Avorio del 2017.
Visite, relazioni e contatti che hanno avuto il loro apice nella prima conferenza Italia-Africa che si è tenuta a Roma il 18 maggio 2016, alla presenza delle delegazioni di 50 Paesi africani.
E ora?
E’ ovviamente presto per dirlo. Solo il tempo ci dirà quali saranno le reali priorità della politica estera italiana, ma il dinamismo di Salvini e l’assenza dalle scene del capo della Farnesina Moavero Milanesi, fanno temere che la visione securitaria avrà la meglio togliendo risorse ed energie alla prospettiva di costruzione di una nuova relazione con l’Africa.
A dimostrarlo sono le difficoltà che sta incontrando la seconda edizione della Conferenza Italia-Africa che era stata programmata per il 21 giugno a Roma.
Rinviata per un concomitante impegno dell’Unione africana nella data prevista per giugno, la Conferenza è al momento in un limbo: si era parlato di uno spostamento a luglio, poi a settembre e ora pare si dovrà attendere fino all’autunno come hanno confermano ad Africaeuropa dalla Farnesina.
“La Conferenza si terrà in autunno ma non c’è ancora una data” ci hanno risposto dal Ministero degli Esteri.
Ma al di là della data scelta il timore è che il lavoro fatto in questi anni possa essere vanificato da una più generale incapacità di visione. Da una mancanza di volontà di dialogo e di confronto con i leader e i soggetti economici e delle società civile del continente africano.
E questo sarebbe un vero peccato.
Perché non basta mandare soldati o dispensare aiuti, serve coltivare una nuova prospettiva di crescita che non venga dettata da Bruxelles, Roma, Parigi o Berlino, ma venga costruita insieme tra la sponda nord e sud del Mediterraneo. Altrimenti sarà solo tempo perso.
Michele Luppi