Se Tallinn non chiama Addis. Quel filo interrotto tra
i leader dei due continenti

“Due continenti, un solo futuro”. E’ questa la scritta, o forse potrei dire il motto, che campeggia sotto la testata di questo blog fin dalla sua nascita, ormai tre anni fa.

Non è retorica, ma la convinzione – concreta – che la storia e il destino di Africa ed Europa siano intrinsecamente legati. Basta scorrere gli articoli pubblicati in questi anni (assolutamente non esaustivi della complessità di questa relazione) per rendersi conto di quanto sia vero.

Mi sento di ribadirlo, ancora una volta, in questi giorni in cui all’interno dell’Unione europea si torna a parlare di migrazioni (dall’Africa) e di possibili strumenti per porre fine ad un flusso che – complice una cronica incapacità gestionale del nostro Paese e precisi calcoli elettorali – sta monopolizzando il dibattito politico con pesanti ricadute sulla tenuta sociale del nostro Paese.

Ma non è su questo che voglio dilungarmi.

Rileggo quella frase “Africa ed Europa, due continenti ed un solo futuro” e ancora una volta sento che qualcosa non torna.

Se l’Europa volta le spalle all’Africa

Penso al ministro degli Interni Minniti corso a Parigi per tentare di trovare – invano – un sostegno da Francia e Germania per una gestione condivisa della crisi.

Al termine del pre-vertice a tre aveva sbandierato con ottimismo una proposta che sembra già tramonta. E poi tutti a Tallin dove i ministri degli interni dei 27 Paesi dell’Ue si ritrovano oggi per discutere ancora una volta di come gestire i flussi migratori.

Si finirà per promettere qualche soldo in più all’Italia, una manciata di milioni alla Libia (illudendosi che vi sia un governo in grado di mettere in pratica quanto chiede l’Europa) e magari anche un impegno formale per spingere sui ricollocamenti.

Tutte cose già viste, tutte strade già tentate. Invano.

L’Europa continuerà a guardare il suo ombelico nella speranza di trovare una soluzione. Ripiegata su se stessa e incapace di alzare lo sguardo.

Eppure ci voleva poco a guardare in questi giorni dall’altra parte del Mediterraneo dove i capi di stato e di governo dell’Unione africana erano riuniti – tutti o quasi – ad Addis Abeba. Insieme nel tentativo di dare un senso ed un ruolo ad un’istituzione che, in questi anni, non ha certo brillato per efficienza.

I leader africani hanno parlato di tante cose, ma soprattutto di lavoro, di occupazione per i giovani, di sviluppo. Si è parlato anche della sostenibilità economica di un’istituzione che dovrebbe rappresentare l’Africa (e gli africani), ma è finanziata da altri (noi europei in primis).

Per la verità di migranti e migrazioni si è detto poco in Etiopia.

Il re del Marocco ha provato a richiamare l’attenzione sul tema e in una lettera invita all’assemblea ha proposto un piano per un gestione africana.

Vedremo se qualcuno raccoglierà questo invito anche se i leader africani non sembrano particolarmente interessanti al tema. In fondo per loro le decine di migliaia di giovani in viaggio verso l’Europa sono solo una parte, nemmeno la più consistente, di una migrazione interna ben più grande: prima quella dalle campagne verso le città e poi da Paesi poveri verso Paesi ricchi all’interno dello stesso continente.

Ma a noi europei cosa può mai importare di tutto questo? Dei dibattiti interni all’Africa? Cosa c’entra adesso Addis Abeba, i leader africani…che senso ha cercare un dialogo quando si possono imporre soluzioni?

In fondo il “problema” delle migrazioni – lo pensano in molti a Tallin e non solo – è un problema europeo, la soluzione deve essere europea. Gli africani sono e resteranno l’oggetto (e mai il soggetto) della questione.

C’è chi prova a muoversi in altra direzione. Proprio oggi alla Farnesina il ministro degli Esteri Angelino Alfano (e, sopratutto, il vice-ministro Mario Giro) hanno convocato una conferenza ministeriale dal titolo “A Shared Responsability for a Common Goal: Solidarity and Security” in cui sono invitati anche i leader dei Paesi africani coinvolti nei flussi.

(Qui un’interessante intervista al presidente del Niger).

Ma, anche qui, la direzione sembra più quella di ottenere consensi e sostegno a piani nati in Europa (e, in particolare, al processo di esternalizzazione delle frontiere) piuttosto che trovare insieme il bandolo della matassa.

E noi andremo avanti a costruire progetti e politiche decise a Bruxelles (o a Berlino e Parigi) pronti a calarle dall’alto sul suo africano. Senza capire che sarà solo l’ennesimo spreco di tempo, soldi…e – purtroppo – anche di vite.

*Nella foto di apertura il presidente della Commissione Ue Junker con il presidente del Kenya Kenyatta.

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