Cinque domande al ministro degli “esteri” Marco Minniti sulla Libia e i migranti

Ho impiegato un po’ di giorni a trovare il tempo di prendere in mano con calma la dichiarazione conclusiva pubblicata al termine dell’incontro che, il 20 marzo scorso, ha visto nascere a Roma il nuovo Gruppo di Contatto per il Mediterraneo Centrale.

Dichiarazione di Intenti

Si tratta dell’ennesimo tassello della politica portata avanti dal ministro italiano Marco Minniti sulla scia del Consiglio europeo de La Valletta del 3 febbraio e sui precedenti incontri con il governo insediato a Tripoli. In Italia si sono riuniti i ministri degli interni di Austria, Germania, Italia, Libia, Malta, Slovenia, Svizzera, Tunisia, insieme al Commissario europeo per le Migrazioni, gli Affari interni e la Cittadinanza, Dimitris Avramopoulos.

Dalla lettura sono emerse queste cinque semplici domande (volutamente retoriche).

1 – Ministro Minniti è sicuro di essere al Ministero giusto?

La prima cosa che colpisce, non tanto nella dichiarazione in sé, ma nel percorso che ha portato all’incontro di Roma è l’assoluta confusione istituzionale che si è venuta a creare in Italia dopo la nomina di Paolo Gentiloni alla guida del governo italiano e il successivo passaggio di Angelino Alfano, ex ministro dell’Interno, alla Farnesina. Possibile che nessuno, o quasi, abbia fatto notare la stranezza di un ministro degli Interni andato in Libia a riaprire l’ambasciata italiana? Forse il ministro Alfano era impegnato? Già basterebbe questo dato per farsi venire qualche domanda circa le priorità della politica estera italiana nei confronti dell’Africa e nell’approccio che verrà portato avanti nei prossimi mesi. Con buona pace dei tentativi, in tutt’altra direzione, del viceministro Mario Giro.

2 – Guardando alla dichiarazione di intenti non varrebbe la pena di dire le cose più chiaramente ovvero che l’unico obiettivo è bloccare gli arrivi? Cosa c’entra lo sviluppo?

Al tavolo convocato da Minniti erano presenti i Paesi interessati dai soccorsi nel Mediteranneo centrale (Italia e Malta), i Paesi verso cui i migranti – arrivati in Italia – spesso transitano (Francia, Svizzera, Slovenia e Austria) e i Paesi africani da cui partono le imbarcazioni (Tunisia e Libia). A questi si aggiunge la Germania che, quando c’è da decidere, non manca mai. Viene difficile capire come questi Paesi – e soprattutto i loro ministri degli Interni – possano lavorare per raggiungere alcuni degli obiettivi contenuti nel documento come “affrontare le cause alla radice della migrazione, promuovere lo sviluppo sostenibile dei Paesi di origine (quali?), transito e destinazione”.

Certo tutti siamo d’accordo sulla premessa del documento: è necessario operare per ridurre il numero dei morti e combattere il business dei trafficanti, ma siamo sicuri che non serva una risposta politica più alta. I veri obiettivi, scritti anche questi nero su bianco, appaiono soprattutto altri: accrescere le capacità dei Paesi di gestire le migrazioni, contrastare il traffico e la tratta, rafforzare la protezione delle frontiere (tramite anche la fornitura di mezzi e tecnologie), potenziare la cooperazione nel settore dei rimpatri.

In questo sembra mancare una visione complessiva sul futuro delle relazioni tra nord e sud del Mediterraneo.

3 – Siamo sicuri che l’accordo Ue-Turchia sia realmente un modello di successo da seguire come riportato nella dichiarazione?

E qui l’osservazione non è tanto umanitaria – per cui rimando al rapporto recentemente pubblicato da Medici Senza Frontiere – quanto politica: le relazioni tra l’Unione europea e la Turchia sono ai minimi storici se guardiamo almeno agli ultimi due decenni, ma il potere di ricatto nelle mani del governo turco non è mai stato così alto. Siete sicuri di voler dare tutto questo potere negoziale nelle mani di un governo, come quello libico, che non controlla nemmeno il suo territorio?  Basta leggere gli articoli dei pochi giornalisti che lavorano in Libia o sulle navi impegnate nei soccorsi per rendersi conto di come, ancora oggi, la Guardia Costiera libica faccia spesso il doppio gioco. L’Italia ha già messo sul piatto 200 milioni, altri 200 arriveranno dall’Ue (secondo quanto detto a Malta), più ci sono altri fondi da varie voci del bilancio Ue. Secondo alcuni giornali libici il premier del governo di accordo nazionale (Gna) Fayez Serraj avrebbe chiesto ai membri del gruppo di contatto 800 milioni per la collaborazione nel fermare i migranti. Siamo sicuri che non saranno soldi buttati? Cosa siamo disposti a barattare con la disponibilità libica (e tunisina) di trattenere i migranti?

 

4 – Nel documento si parla di priorità strategia al Mediterraneo e di partenariato tra Paesi europei e nordafricani. In che modo verranno perseguiti questi obiettivi?

Ha senso parlare di partenariato con i Paesi del nord Africa prescindendo dal coinvolgimento di Paesi come Egitto (che tanta responsabilità ha nell’attuale instabilità libica), Algeria e Marocco (nessuno di questi Paesi fa parte del nuovo gruppo di contatto)? Certo se l’obiettivo è bloccare le partenze ed ottenere il via libera del governo tunisino per trasferire lì i migranti soccorsi allora va bene, ma parlare di partenariato è un’altra cosa.

In fondo, nonostante il lavoro di molti, i leader europei stanno sempre più mettendo in dubbio la capacità europea di avere una politica di relazioni organiche nei confronti del continente africano. Dal Summit Ue-Africa di Bruxelles del 2014 che, sulla scia degli incontri de Il Cairo” (2000), Lisbona (2007) e Tripoli (2010),  si proponeva di mettere attorno ad un tavolo il maggior numero di governi di Africa ed Europa siamo passati a quello de La Valletta (novembre 2015) a cui erano presenti solo i Paesi coinvolti nei flussi migratori, fino ai nuovi compact (LEGGI LA NOSTRA MINI GUIDA) sottoscritti dall’Unione europea con i singoli Paesi. Anche i forum di Rabat e Karthoum appaiono sempre più come tavoli in cui implementare accordi di polizia imposti dall’Europa invece che luoghi dove elaborare soluzioni condivise a sfide comuni. Dov’è finita la volontà europea di arrivare ad una reale partnership con l’Africa?

5 – Nel documento scrivete: “Questo approccio dovrebbe anche prendere in considerazione I’eventuale promozione di un ‘ulteriore riflessione su possibili azioni da effettuare alle frontiere libiche meridionali con I’obiettivo di salvare vite umane nel deserto”. Davvero siete convinti che sigillare le frontiere a sud della Libia (ammesso sia possibile) eviti che i migranti muoiano nel deserto?

Mentre più a sud restano i leoni…Hic Sunt Leones verrebbe da dire.

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