Summit di Malta: pronti a dare luce verde al “muro” Europeo

JOE KLAMAR/AFP

Quelli che ci attendono saranno giorni decisivi per il futuro delle politiche migratorie dell’Unione europea e, di conseguenza, per la sorte di migliaia di migranti già in viaggio verso l’Europa.

Venerdì 3 febbraio i capi di stato e di governo riuniti a Malta per un Consiglio europeo informale saranno chiamati a dare luce verde al nuovo piano per il blocco dei migranti lungo la rotta del Mediterraneo centrale.

Si tratta dell’ultimo tassello di una linea difensiva che l’Unione europea va innalzando da tempo: un “muro” che, contrariamente a quello in via di prolungamento da parte dell’amministrazione Trump al confine con il Messico, non sarà fatto di reti e filo spinato,ma di accordi internazionali ed operazioni militari e di polizia.

Lo scrive con dovizia di particolari il giornalista Martin Plaut in questo articolo “Europe’s African ‘wall’ now almost complete” che vi consiglio vivamente di leggere.

Dopo l’accordo tra l’Unione europea e la Turchia del marzo scorso e il drastico calo dei flussi verso la Spagna (lungo la rotta verso le Canarie e le enclave di Ceuta e Melilla), così come la fine della rotta attraverso il Sinai, il passaggio privilegiato per l’ingresso in Europa è divenuto quello attraverso la Libia. Ed è proprio a questo Paese che punta il nuovo piano della Commissione europea.

L’obiettivo è quello di arrestare le partenze delle imbarcazioni cariche di migranti dalla coste libiche, in particolare dalla Tripolitania, riportando le persone già partite verso il continente africano e, da lì, attraverso un sistema di rimpatri nei Paesi di origine.

Per farlo sono due le opzioni in campo: il coinvolgimento diretto nelle acque territoriali libiche delle navi europee attraverso Eunavformed operazione Sophia oppure, nel caso non ci fosse il consenso del governo di Tripoli, l’istituzione di un blocco navale da parte della guardia costiera libica (addestrata e finanziata proprio dall’Unione europea).

Un’operazione per cui la Commissione è disposta a mettere sul piatto 200 milioni di euro attraverso il Fondo fiduciario per l’Africa istituito nel novembre 2015 proprio a La Valletta durante il Summit Eu-Africa.

Il progetto europeo, almeno nelle intenzioni, prevederebbe anche un coinvolgimento diretto di IOM (Organizzazione Mondiale delle Migrazioni) e UNHCR (Alto Commissariato del Nazioni Unite per i Rifugiati) in Libia con il compito di istituire dei campi funzionali al sistema dei rimpatri.

Ma la situazione nel Paese è così caotica da rendere quanto improbabile, nel breve periodo, il loro intervento sul terreno. A preoccupare non è solo la frattura tra il governo di unità nazionale promosso dall’Onu  (guidato da Fayez Al Sarraj) e quello di Tobruk (in Cirenaica), guidato dal generale Khalifa Haftar, con il sostegno di Egitto, Russia e, anche se non esplicitamente, della Francia, ma anche la presenza di milizie e reti di trafficanti che controllano città, porti e forze di polizia.

ESTERNALIZZAZIONE DELLE FRONTIERA

La strategia di coinvolgere Paesi terzi nel controllo delle frontiere non è una novità per l’Unione europea, come dimostrano non solo il già citato accordo UE-Turchia, ma anche la nuova politica dei “Compacts” (leggi la nostra mini guida), che Bruxelles sta cercando di imporre, con alterna fortuna sul fronte africano, anche a Etiopia, Mali, Niger, Senegal e Nigeria.

Per non dimenticare i cosiddetti Processi di Khartoum e Rabat e la fitta rete di negoziati bilaterali tra Paesi delle due sponde del Mediterraneo di cui l’intesa siglata tra Italia e Sudan nell’estate scorsa rappresenta solo uno degli esempi più citati.

Intese che procedono a velocità ridotta rispetto a quanto desiderato da Bruxelles, come dimostrano le recenti tensioni sui rimpatri tra Francia e Mali. 

All’indomani dell’incontro di Malta restano dunque molte ombre non solo sull’eticità del piano europeo (quali diritti per i migranti bloccati in Libia?), ma anche sull’opportunità e sulla sua reale applicazione.

Perché, come dimostrano le immagini dei profughi bloccati nel gelo di Belgrado, gli accordi possono rallentare i flussi ma non arrestarli, rendono i viaggi solo più costosi e più rischiosi di prima.

Una soluzione di lungo periodo va dunque trovata e non può che passare da un reale coinvolgimento (senza imposizioni) dei governi e della società civile africana ed europea.

“United we stand, divided we fall”, ha scritto il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk alla vigilia del Summit di Malta chiedendo ai leader europei di rinforzare i confini esterni dell’Unione per rispondere alle sfide che attendono il futuro dell’Europa.

E, anche se tra queste non viene menzionata la questione migratoria, la paura è che per salvare l’Europa si condannino i migranti a continuare a vagare e a morire, aspettando che i trafficanti trovino un nuovo buco nel “muro” europeo.

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