“Cosa pensi se ti dico Africa?”

Qual è la prima parola che vi viene in mente se dico Africa?”.

E’ questa la domanda che alcune settimane fa ho posto ad alcune classi di un liceo di provincia. Un campione certamente non rappresentativo dei giovani liceali italiani, ma quanto basta per maturare una riflessione che mi sento di condividere con gli amici africani e con quanti, pur in ambiti diversi, si interessano di Africa.

ricchezza-povertaPerché si è scritto tanto e non da ora dell’immaginario negativo che circonda il continente africano, ma le risposte dei ragazzi, prima timidi poi sempre più sciolti, sono andate ben oltre la mia immaginazione: sotto la parola Africa – sulla lavagna di una seconda superiore – stavano ben incolonnate le parole: povertà, sottosviluppo, fame, tribù, bambini soldato, deserto, malattie. Non una parola positiva era uscita dalla loro bocca.

Un po’ meglio è andata con gli studenti di quinta che, a questo elenco degli orrori, hanno aggiunto: musica e cultura. Ebbene sì, in Africa c’è anche questo.

Non c’è da stupirsi allora se il loro interesse per l’Africa fosse completamente assorbito dalla questione “migratoria” senza – salvo alcune eccezioni – riuscire a comprenderne i confini: provate a chiedere a dieci persone di trovare sulla cartina dell’Africa il Senegal o il Sudan, per non parlare del Gambia; vi stupirete delle risposte.

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Quei giovani non hanno fatto che riflettere, nel concreto di un’aula scolastica, quello che i ricercatori dell’Università di Dortmund e di Africa Positive hanno certificato in questa ricerca condotta su sei Paesi europei (Germania, Regno Unito, Francia, Grecia, Italia e Spagna) e cinque africani (Ghana, Etiopia, Kenya, Tanzania, Uganda).

La copertura (mediatica del fenomeno migratorio) in Europa – scrivono – è complessivamente molto fredda ed euro-centrica e incentrata attorno a questioni di sicurezza europea: più della metà (57%) degli articoli europei studiati, ad esempio, non menzionava alcuno stato africano.

multichannel-service-design-the-african-way-euro-ia-2012-version-4-728Per troppe persone e  media (con lodevoli eccezioni) l’Africa resta un continente dai confini indefiniti (hic sunt leones vi dice niente), una terra dannata e da “salvare”, abitata da popoli che nulla hanno da dare, ma solo da ricevere.

In fondo che senso ha parlare di accoglienza, se non si conosce chi si vuole accogliere: la sua storia, la sua cultura, la sua ricchezza. Non solo le singole persone, ma i popoli e i loro personaggi più illustri: politici, scrittori, musicisti, storici, imprenditori, artisti. La ricchezza culturale che sta al centro dello scambio. 

Superando quell’immaginario che – volenti e nolenti – è impresso nel nostro DNA di europei “civilizzatori”. In tutti (me compreso!)

Da dove partire?

La Redani – Rete della Diaspora Africana Nera in Italia – ci ha provato l’anno scorso con la campagna “Anche le immagini uccidino”, ma senza riuscire a diventare virale. Ci stanno provando i promotori dell’African Summer School, dell’Ottobre Africano e tanti altri, ma la strada appare ancora lunga perché nel mondo delle ONG e dei media c’è chi continua ad alimentare i pregiudizi. Perché un talk di prima serata incide molto di più di decine di campagna di comunicazione.

C’è però chi non si arrende e lo fa strappando un sorriso: quei  “mattacchioni” di “Radi-Aid” ci provano ogni anno con la classifica dei migliori e peggiori spot delle ONG.

Guarda la classifica di quest’anno.

A giudicare dai riscontri tra gli studenti del loro classico “Africa for Norwey”, l’impatto è immediato, ma sul lungo periodo quando si riesce ad incidere?

E’ una domanda che lascio a tutti voi, nella consapevolezza di come questa battaglia vada combattuta insieme sulle due sponde del mar Mediterraneo. E va combattuta ora, senza perdere tempo.

 

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