Quando si parla di relazioni tra l’Italia e il continente africano, Mario Giro, è da considerarsi più di una semplice persona informata sui fatti. Non solo perché dal 29 gennaio 2016 è vice ministro degli Esteri con delega alla Cooperazione Internazionale, ma perché da oltre due decenni intrattiene relazioni personali ed istituzionali (importante il suo ruolo di mediatore per la Comunità di S. Egidio) con leader politici e della società civile sulle due sponde del Mar Mediterraneo. Nei giorni scorsi ha affidato a Facebook questa nota.
A parte una certa retorica – presente più nell’immagine scelta che non nel testo (ho sempre un po’ di orticaria quando vedo usare la parola “salvare” associata all’Africa…) – crediamo sia un punto di vista interessante per capire il cambio di prospettiva e di coinvolgimento dell’Italia nei confronti del continente africano, come dimostra l’aumento costante degli investimenti diretti esteri e un approccio di cooperazione che punta alla creazione di di posti di lavoro. Per questo buona lettura!
È innegabile che l’Italia negli ultimi due anni abbia acquisito un nuovo slancio nelle relazioni con l’Africa che, come testimonia un recente studio di E&Y, l’hanno portata ad aumentare del 100% gli investimenti diretti nei confronti del grande continente, passando dal 22° all’11° posto nell’elenco dei paesi investitori. Investimenti necessari per uno sviluppo congiunto effettuati nella consapevolezza che non esiste una sola Africa, ma tante Afriche, dove molti Stati offrono valide opportunità di sviluppo.
L’Italia ha rinnovato anche il proprio impegno verso i Paesi africani attraverso visite al più alto livello istituzionale, come quelle compiute nei mesi scorsi dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. Oltre alle missioni diplomatiche del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che ha appena visitato Niger, Mali e Senegal per ribadire l’importanza dell’azione preventiva per arginare l’enorme flusso di migranti. C’è poi il consolidamento della nostra presenza diplomatica in Africa con l’apertura di due nuove ambasciate, in Niger (Niamey) e in Guinea (Conakry), Paesi situati in due aree cruciali per la gestione dei flussi migratorI, e l’apertura nella Repubblica Centrafricana del primo ufficio di Cooperazione.
Tutto questo, attenzione, non è frutto di una specie di reflusso “terzomondista”. Abbiamo firmato tanti contratti e accordi di partenariato siglati nella consapevolezza che l’Africa non è solo da prendere in considerazione per lo sfruttamento delle materie prime, ma anche per valorizzare le sue risorse umane. Ed in quest’ottica, sono stati previsti nella legge di bilancio 200 milioni di euro aggiuntivi per l’Africa, con esplicito richiamo all’ “Africa Act”, che abbiamo presentato la scorsa estate al Parlamento per introdurre misure legislative e operative tese a rafforzare la presenza italiana nel continente.
L’Italia ha spinto l’Unione europea a investire altri 500 milioni di euro nel trust fund de La Valletta che, istituito a novembre 2015 dalla Commissione europea, già impiega 1,8 miliardi di euro nella lotta contro le cause profonde della migrazione in Africa*. Infine il Migration Compact, il patto sulla migrazione proposto dal governo italiano all’Ue per mettere in atto un nuovo sistema di investimenti e intese con i paesi terzi e in particolare con quelli africani, che intendono sviluppare l’economia locale, anche in funzione di contenimento delle migrazioni economiche. L’Europa ancora cincischia su questo (anche se ho elementi per dire che potrebbero esserci delle sorprese positive nelle prossime settimane) ma noi abbiamo bisogno di iniziare, creare modelli in Africa che siano semplici e ripetibili per dare lavoro alle persone a casa loro. È l’unico modo che abbiamo perché queste opportunità vengano colte invece di costringere la gente a migrare e rischiare la vita. È una cosa che fa leva sull’altra.
L’esecutivo ha già progetti in corso che producono successi in ordine di centinaia di persone. Dobbiamo arrivare a migliaia e avere pazienza, perché non ci sarà un impatto immediato sui flussi migratori, ma sul lungo termine sì. I fondi della cooperazione devono essere spesi bene e non possono essere dedicati a nient’altro che alla cooperazione, neppure temporaneamente. La sfida del Mediterraneo è cruciale. Se non ora, quando? Se nel prossimo trentennio saremo protagonisti alla salvezza del continente Africano o almeno capaci di riscattare molti suoi Paesi e aree (è possibile! Guardate dopo 25 anni cos’è stato in piccolo dell’Albania: veniva chiamata “l’Africa d’Europa” e ora la “Svizzera dei Balcani”) non solo avremo compiuto il nostro ruolo nella Storia ma guadagnato un vero e proprio partner commerciale e un alleato alle nostre porte. Il mondo cambia, la geopolitica cambia. Si muore senza una visione e se si rimane fermi.
MARIO GIRO – VICE MINISTRO AGLI AFFARI ESTERI
*Purtroppo i soldi dell’Eu Emergency Trust Fund for Africa vengono utilizzati anche (e in una percentuale importante) per finanziare le forze di polizia locali e i controlli alle frontiere.
** Alcune critiche sui “compacts” sono state espresse qui e qui.