Da settimane la situazione dei migranti accampati nel parco della stazione S. Giovanni di Como si è guadagnata l’attenzione dei giornali, non solo italiani ma di mezza Europa. Como è stata dipinta come la nuova Ventimiglia e i numeri – le presenze oscillano stabilmente tra le 350 e le 450 persone – sembrano confermare questa lettura.
Nonostante la rigidezza dei controlli da parte delle Guardie di confine, con modi non sempre “ortodossi” come ha recentemente denunciato l’associazione ASGI, la Svizzera è diventata un nuovo corridoio di transito per quanti, arrivati in Italia per lo più dai Paesi del Corno d’Africa (Eritrea ed Etiopia in testa), cercano di raggiungere il nord Europa.
Ma come spesso accade accanto alla Storia con la “s” maiuscola e al tentativo di trovare risposte politiche ed umanitarie all’emergenza, ruotano le storie, piccole ma altrettanto importanti: quelle dei migranti, dei volontari e di tanti comuni cittadini. Definizioni che finiscono per confondersi nel caso di Christian Unanam, richiedente asilo nigeriano arrivato a Como nell’aprile del 2015 e divenuto nelle scorse settimane uno dei tanti volontari impegnati nell’assistenza al popolo di San Giovanni.
Lo incontriamo durante una pausa del tirocinio che sta svolgendo presso la cooperativa sociale Symploké, la stessa che lo ha accolto al suo arrivo in città, dopo cinque mesi di viaggio attraverso il Sahel e due “interminabili” giorni in mare.
“Dovrebbe fare venti ore di servizio alla settimana, ma è praticamente sempre presente nel nostro centro di via Sirtori, non lo vediamo mai fermo”, racconta l’operatrice Martina Schillaci.
E’ così che in poco tempo è diventato un punto di riferimento per gli altri richiedenti asilo ospitati nella struttura (oltre che il parrucchiere ufficiale). Una sorta di fratello maggiore data anche la sua età non giovanissima: 37 anni, dieci o quindici in più rispetto all’età media dei presenti.
“In Nigeria vivevo a Nto Eton nello stato di Akwa Ibom, nel sud, – racconta – avevo un negozio da parrucchiere e lavoravo molto, dalla mattina alla sera senza mai fermarmi, poi sono iniziati i problemi e sono dovuto scappare”.
Christian non dice altro, ma lascia intendere che senza quei pericoli non avrebbe mai rischiato la vita per arrivare fin qui, a quel magazzino ricolmo di cibo e vestiti per i ragazzi della stazione. La sede della cooperativa sorge, infatti, a pochi passi dal magazzino in cui la Caritas della diocesi di Como gestisce la raccolta promossa per l’emergenza e lui è diventato uno dei punti di riferimento. “Persone arrivano ad ogni ora del giorno a portare materiale e dobbiamo gestire tutto”, racconta.
Le eccezioni al suo impegno vengono fatte per il corso di italiano che frequenta tre volte alla settimana, anche se ammette di aver ancora qualche problema con la lingua di Dante.
“Cerco di fare quello che posso per aiutare chi ha bisogno – continua Unanam -, molti di questi sono giovani scappati da guerre e persecuzioni; cercano solo un modo per proseguire il loro viaggio. Per me, invece, il viaggio è già finito: mi trovo bene in Italia e non ho motivi per voler proseguire. Qui ho trovato la sicurezza che cercavo, la sicurezza per cui sono scappato”.
Per lui, come per tanti altri migranti arrivati in Italia, il futuro è però ancora una grande incognita. E lui stesso non lo nasconde.
“Il futuro lo lascio al futuro – conclude – perché la vita si costruisce un passo alla volta. Credo però nella determinazione e nel lavoro duro, così come nell’impegno per gli altri. Ai ragazzi che sono arrivati dopo di me dico sempre: non è restando seduti che le opportunità vi verranno incontro”.