L’olio tunisino non deve far paura: se la Tunisia cresce l’Italia guadagna

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Si è parlato molto nei giorni scorsi della decisione dell’Unione europea di allargare la quota di olio di oliva tunisino che potrà essere importato – senza dazi – in Europa. Il Parlamento europeo ha dato luce verde alla proposta della Commissione che, fino alla fine del 2017, metterà a disposizione un contingente tariffario senza dazio unilaterale di 35 mila tonnellate all’anno di olio in aggiunta alle attuali 56.700.

L’olio d’oliva rappresenta l’ottavo prodotto per valore di esportazioni della Tunisia (dopo fili e cavi, apparecchiature elettriche, prodotti tessili, abbigliamento e petrolio) ma è il principale prodotto agricolo esportato verso l’Unione, e il settore occupa un posto importante nell’economia del paese in quanto dà lavoro, direttamente e indirettamente, a più di un milione di persone, ossia un quinto della forza lavoro agricola totale. Un settore in crescita: nel 2015 la Tunisia è diventata il principale esportatore di olio al mondo con 300 mila tonnellate esportate. 

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Nel commentare la proposta, l’Alta rappresentante della politica estera e di sicurezza Federica Mogherini, ha sottolineato come l’obiettivo principale sia quello di sostenere  il Paese mediterraneo in un periodo di crisi economica, a seguito del crollo del settore turistico, e di instabilità politica (con la minaccia del terrorismo alle porte). Come spiega bene Stefano M. Torelli, in questo articolo pubblicato dall’Ispil’Europa è chiamata a scegliere tra politiche di breve o lungo termine, ma non può far finta di non sapere che questioni chiave per il futuro europeo (migrazioni e terrorismo su tutte) passino dalla stabilizzazione della sponda sud del Mediterraneo. E, in questo senso, la Tunisia è un Paese ancora in bilico.

“Circostanze eccezionali – ha detto Mogherini – richiedono misure eccezionali. La proposta odierna è un segnale forte della solidarietà dell’UE con la Tunisia, e fa seguito all’impegno che ho assunto lo scorso luglio nei confronti del primo ministro Essid e del ministro degli Affari esteri Baccouche. In questo periodo difficile la Tunisia può contare sul sostegno dell’UE”.

SI-CONVEGNO-OLIO_Layout-1Le sue parole hanno però acceso le polemiche, specialmente in Italia, dove la “questione dell’olio tunisino”, sollevato prima di tutto da Coldiretti, è entrata prepotentemente nell’agenda politica. Corriere.it è arrivato a pubblicare una gallery con le foto dei 12 parlamentari europei italiani che hanno votato sì alla proposta.

Proviamo a fare un po’ chiarezza,  dati alla mano, per contestualizzare la decisione europea alla luce di quelli che sono le relazioni commerciali tra i due Paesi. L’accordo si inserisce infatti in un percorso, attualmente in corso, che porterà ad un nuovo accordo economico (denominato DCFTA) tra Unione europea e Tunisia che sostituirà il precedente del 1995.

Tra il 2014 e il 2015 la produzione di olio di oliva in Italia è crollata drammaticamente da 464 mila a 220 mila tonnellate (nel 2016 è prevista una ripresa ai valori del 2014). Conseguentemente anche le esportazioni sono crollate da 350 mila a 200 mila tonnellate. A dispetto di questi dati il consumo interno è stato di 580 mila tonnellate. Questo significa che, anche senza esportazioni, la produzione interna non sarebbe sufficiente a coprire i consumi. 

In secondo luogo dovremmo imparare a guardare sempre le questioni da una prospettiva più ampia e non restringendo il campo a un solo settore economico: l’Unione europea rappresenta il principale partner commerciale della Tunisia.

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Gli scambi commerciali ammontano a 20 miliardi di dollari all’anno con un saldo positivo per l’Europa di 1,6 miliardi di euro. Questo significa che il valore delle esportazioni europee verso la Tunisia supera quello delle importazioni. Tra i Paesi che più beneficiano di questa relazione c’è proprio l’Italia che è il secondo partner commerciale del Paese africano e, nel 2014, aveva un scambio commerciale di 5,5 miliardi di euro (con un saldo positivo di 1 miliardo). Meglio dell’Italia fa solo la Francia che ha uno scambio commerciale pari a 7 miliardi di euro (dati 2014), ma con un saldo negativo per circa 500 milioni di euro.

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Con questo non vogliamo negare che, per alcuni produttori, la decisione del Parlamento europeo possa comportare degli svantaggi. Condividiamo le preoccupazioni del presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo.

 “Il rischio concreto in un anno importante per la ripresa dell’olivicoltura nazionale è il moltiplicarsi di frodi, con gli oli di oliva importati che vengono spesso mescolati con quelli nazionali per acquisire, con le immagini in etichetta e sotto la copertura di marchi storici, magari ceduti all’estero, una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati nazionali ed esteri, a danno dei produttori italiani e dei consumatori”.

Ma più che gridare al pericolo di “invasione” si dovrebbero invocare maggiori controlli sulle truffe nel settore alimentare e normative di trasparenza più che il blocco dei confini. Perché l’Europa non può più continuare nella logica del protezionismo in casa propria e nell’espansionismo sui mercati esteri, specie se si tratta di Paesi in via di sviluppo o in difficoltà.

Il rischio è quello di commettere gli stessi errori del passato: negli anni ’80, ricorda Torelli, “a seguito delle barriere tariffarie europee le esportazioni di prodotti alimentari tunisini sono crollate dal 30 al 7% del totale delle esportazioni”.

Con conseguenze economiche che si sono trascinate per decenni. Errori che non bisogna evitare solo per una questione di giustizia, ma per una visione strategica che vada oltre il momento contingente.  Perché se è vero che l’Italia è il Paese maggiormente toccato dalla decisione sull’olio tunisino è anche (dati alla mano) il Paese che sarà maggiormente influenzato da una destabilizzazione della sponda sud del Mediterraneo. “Perché – parafrasando un vecchio proverbio – non si può avere la bottiglia piena e l’insalata condita”

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