Non più di una settimana fa mentre a Parigi il ministro degli esteri francese, Laurent Fabius, festeggiava l’accordo trovato al termine della Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (Cop21), in Etiopia, l’Organizzazione mondiale della Sanità dispiegava una missione di emergenza per sostenere il ministero della sanità etiope nel fronteggiare la peggiore siccità degli ultimi trent’anni.
Perché, con buona pace dei grandi della terra che hanno salutato con entusiasmo l’accordo “vincolante” di Parigi (con l’obiettivo di bloccare il surriscaldamento globale ben al di sotto dei due gradi centigradi rispetto al periodo pre-industriale), ci sono Paesi che non possono aspettare il 2020 – l’anno in cui entrerà in vigore l’accordo – perché stanno già pagando oggi le conseguenze dei cambiamenti climatici.
A preoccupare sono, in particolare, le conseguenze di un fenomeno climatico chiamato “El Niño” che sta provocando siccità e alluvioni non solo in Africa, ed in particolare nella regione del Sahel, ma anche in America centro-meridionale e in alcune zone dell’Asia.
È un fenomeno climatico periodico che si verifica nell’Oceano Pacifico centrale nei mesi di dicembre e gennaio in media ogni cinque anni, ma con un periodo statisticamente variabile fra i tre e i sette anni. Per definizione si è in presenza di El-Niño quando la superficie della parte centrale dell’Oceano Pacifico manifesta un incremento della temperatura di almeno 0,5 °C per un periodo di tempo non inferiore ai 5 mesi. Questo fenomeno provoca un sistema di correnti che si tramutano in inondazioni, siccità e altre perturbazioni variabili. I paesi in via di sviluppo che dipendono fortemente dall’agricoltura e dalla pesca, in particolare quelli che si affacciano sull’Oceano Pacifico, ne sono i più colpiti, sebbene si ritenga possa avere effetti anche su scala globale attraverso modificazioni della circolazione atmosferica in tutto il pianeta.
Nel mese di ottobre un documento pubblicato da Oxfam International aveva messo in guardia dall’arrivo di una nuova ondata del fenomeno di cui si parlava già da mesi. “Almeno 10 milioni di poveri soffriranno la fame quest’anno e il prossimo anno a causa di siccità e piogge irregolari, influenzate dai cambiamenti climatici e dal probabile sviluppo di un “super El Niño”», avevano dichiarato. Purtroppo, i dati degli ultimi giorni, non solo confermano queste preoccupazioni, ma fanno temere conseguenze ancora peggiori.
Ad essere maggiormente colpita è proprio l’Etiopia dove i ritardi nelle piogge, attribuiti proprio a El Niño hanno compromesso i raccolti di quest’anno mettendo – secondo quanto comunicato dal governo etiope e dalle Nazioni Unite – 10,2 milioni di persone in una condizione di urgente assistenza umanitaria. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità questa situazione è “destinata a peggiorare nei prossimi 8 mesi” mettendo 400 mila bambini a rischio malnutrizione nel 2016.
“Senza un’adeguata risposta, El Niño potrebbe compromettere anni di progressi sanitari per la popolazione etiope”, ha commentato Kebba Jaiteh, coordinatore del team dispiegato in Etiopia dell’OMS.
Per cercare di porre un argine a questa situazione l’Unione europea ha recentemente approvato un piano di aiuti (aggiuntivi) da 125 milioni di euro a sostegno dei Paesi maggiormente colpiti da El Niño in Africa, Caraibi e in Centro e Sud America.
Una cifra che sembra però insufficiente. Pochi giorni fa le Nazioni Unite hanno lanciato un appello ai loro partners per raccogliere 2 miliardi di dollari necessari a fronteggiare la crisi umanitaria nel bacino del Lago Ciad dove l’instabilità e le violenze hanno già provocato 4,5 milioni di sfollati.