Forse non tutti lo sanno, ma la più grande operazione militare dell’esercito francese – attualmente in corso – non è quella contro l’Isis in Siria. Perché, con buona pace delle recenti dichiarazioni presidente Hollande, da quasi tre anni, dall’intervento militare in Mali, la Francia è impegna militarmente nella regione africana del Sahel con l’obiettivo di combattere il terrorismo (qui un interessante articolo della rivista Africa sul tema) e di stabilizzare una regione ritenuta, per diversi motivi, strategica per il Paese. La Francia dunque era già “in guerra”.
Si tratta dell’Operazione Barkhane che vede impegnati 3.500 soldati francesi dispiegati su un territorio esteso per migliaia di chilometri quadrati: dalla Mauritania al Ciad, passando per Mali, Burkina Faso e Niger. Una presenza ingente di uomini e mezzi: 17 elicotteri, 8 aerei da combattimento, 200 blindati e altri 200 veicoli per il trasporto logistico.
La missione, lanciata ufficialmente il 1° agosto del 2014, ha raccolto l’eredità di due precedenti operazioni condotte dalla Francia in Mali e in Ciad, denominate rispettivamente Operation Serval e Épervier. Nel frattempo l’esercito francese è intervenuto anche in Repubblica Centrafricana con la missione Sangaris, ancora in corso.
Obiettivo dichiarato di Barkhane è la lotta al terrorismo ed, in particolare, il contrasto a quella fitta rete di gruppi che si muovono con una certa facilità in una regione dai confini porosi e difficilmente controllabili. Così facendo la Francia ha riguadagnato – se mai lo avesse realmente perso – il potere all’interno dell’area diventando il padrino politico del gruppo di G5 Sahel, il progetto di coordinamento in materia di sviluppo e sicurezza lanciato nel febbraio del 2014 dagli stessi Paesi in cui è attiva la missione Barkhane (Mauritania, Ciad, Mali, Burkina Faso e Niger).
Una guerra non priva di costi materiali ed umani: sono 13 i soldati francesi uccisi dall’inizio dell’operazione Serval, l’ultimo è morto il 27 agosto 2015 (mentre non si hanno numeri precisi circa le vittime tra i miliziani e la popolazione civile).
Come già accennato, con questa operazione, la Francia prova a mantenere (e con un occhio alla Nigeria anche ad estendere) la sua area di influenza in una regione considerata strategica per la politica transalpina.
Un interesse di natura geopolitica: questa resta l’ultima regione al mondo in cui la Francia può ancora vantare la propria “grandeur” sfruttando la propria influenza politica, economica e militare.
Un interesse di sicurezza: la Francia ha particolare interesse nel contrastare la diffusione nella regione di ideologie legate al terrorismo internazionale. La minaccia di contagio alla vicina Algeria (e all’intero Maghreb) è da sempre una minaccia che le forze di sicurezza francesi cercano di evitare (ad ogni costo e con ogni mezzo). Così come il rischio di coinvolgimento di combattenti provenienti dalla Francia che potrebbero trasformarsi in “terroristi di ritorno”, come ci hanno insegnato gli attacchi di Parigi di questi giorni.
Un interesse economico: la Francia non è solo un partner economico importante per i Paesi della regione, ma dal Sahel provengono materie prime fondamentali per l’industria transalpina: basti pensare alle miniere d’uranio gestite – direttamente o in partnership con società locali – dalla compagnia Areva in Niger.
Per rendere l’idea dell’importanza di queste risorse Oxfam Francia sottolinea (metaforicamente) come un lampione ogni tre, in Francia, sia alimentato proprio dall’uranio del Niger.