Don Zerai: “Gli hotspot diverranno trappole”.
Troppe domande senza risposta

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“L’Europa non deve puntare sui così detti Hotspot, perché si riveleranno nel tempo delle trappole e non sono la soluzione né per i profughi né per il paese costretto ad aprirli”.

È così che don Mussie Zerai, il missionario candidato al Premio Nobel per la Pace, direttore di Habeshia Agency Cooperation for Development, ha voluto commentare l’intenzione dell’Europa di creare centri di identificazione rapida per migranti in ogni paese di arrivo. Secondo Zerai, lo sforzo europeo deve essere concentrato esclusivamente su come azzerare l’arrivo dei profughi per vie illegali e pericolose. E questo azzeramento si potrà raggiungere solo con l’apertura di corridoi umanitari.

La maggior parte di questi nuovi centri verrebbe creata in Italia (in realtà gli esperti delle agenzie UE Frontex, Easo, Europol e Eurojust sono già operativi in Sicilia per gestire, assieme ai funzionari italiani, le attività di registrazione dei migranti in arrivo sulle coste italiane): ufficialmente tre saranno in Sicilia (Trapani, Pozzallo, Porto Empedocle) e uno sull’isola di Lampedusa. Dall’inizio del 2016 dovrebbero aprire anche i centri di Taranto e Augusta. Ogni centro, secondo le ipotesi che circolano, potrebbe ospitare fino a 1.500 persone. “Quale sarà lo standard di vita previsto in queste strutture? – aggiunge Zerai – E il tempo di permanenza? Saranno garantiti la libertà di movimento degli ospiti e il loro diritto a essere informati nella loro lingua? E il diritto alla salute? E sarà garantito il diritto al ricorso nel caso di diniego della commissione per lo status di rifugiati?”

Di “hotspot” si parlava già nella cosiddetta Agenda per la migrazione, un documento della Commissione europea pubblicato lo scorso maggio con alcune nuove proposte per cambiare il modo in cui gli stati europei gestiscono il fenomeno di profughi e migranti. Gli hotspot saranno strutture allestite per identificare rapidamente, registrare, foto-segnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti, e che saranno create per sostenere i paesi più esposti ai nuovi arrivi (quindi Italia e Grecia ma anche Ungheria, per esempio).

I migranti saranno trattenuti negli “hotspot” (che in molti casi nasceranno in centri già esistenti e attrezzati) fino alla conclusione di tutte le operazioni di identificazione.

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LE DOMANDE SENZA RISPOSTA

cie_torino_dietro_le_sbarre“La cosa non chiara – incalza Zerai – è come saranno impostate queste strutture: si tratterà di aree di accoglienza con l’obiettivo di trasferire chi ha diritto di asilo in altri paesi oppure saranno luoghi di detenzione per gli immigrati irregolari in attesa di un rimpatrio? Sarà consentito l’uso della forza per obbligare le presone a farsi foto-segnalare? Chi vigilerà su eventuali abusi e violenze? Se il trasferimento verso il paese terzo riguarda soltanto i profughi con alta percentuale di riconoscimento dello status di rifugiato o protezione sussidiaria, quale sarà il destino della maggioranza dei richiedenti asilo che oggi provengono da paesi con basso riconoscimento di protezione internazionale? L’Italia e la Grecia che piano di accoglienza e processo di integrazione hanno proposto per garantire un’accoglienza dignitosa? Chi li gestirà? Le varie autorità nazionali e gli agenti della polizia di frontiera, insieme ai tecnici ed esperti di agenzie europee come Europol (l’Ufficio di Polizia Europeo), EASO (l’Agenzia europea per il diritto d’asilo), Eurojust (per la cooperazione giudiziaria tra varie autorità nazionali contro la criminalità), Frontex (l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea)?”

Secondo Zerai, la collaborazione tra autorità europee e nazionali dovrebbe essere volta più che altro alla prevenzione e protezione di richiedenti asilo perché in fuga da guerra e violenza, e di garantire un flusso regolare di ingresso per i migranti cosiddetti “economici”che fuggono cioè dalla povertà.

“Per prima cosa – precisa don Zerai – occorrono ponte-aerei dai paesi limitrofi con ogni Stato dove ci siano situazioni di crisi. A oggi, per esempio, si dovrebbero aprire da Libano, Turchia o Giordania per i profughi siriani, iracheni o curdi e da Etiopia e Sudan per eritrei e somali. Basta con i lunghi e disumani viaggi durante i quali queste persone finiscono nelle mani di trafficanti, gruppi terroristi e predoni che, approfittando della loro disperazione, li derubano e ne abusano, violentando anche donne e bambini. L’Europa – continua – deve impegnarsi per prevenire e proteggere questa gente da tutta questa sofferenza. L’Europa deve dire basta ai gruppi di trafficanti e criminali che si arricchiscono sulla pelle dei profughi. L’Europa deve impedire ai terroristi di finanziarsi con il traffico di esseri umani e il traffico di organi. Le parole chiave sono prevenzione e protezione, non hotspot”.

Leggi l’articolo completo sul sito dell’agenzia Habeshia

 

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