Dal Gambia all’Italia:
i disegni per dire quello
che le parole non dicono

superdue“Se lo rifarei? Certamente no! Se tornassi indietro non tenterei più la strada del deserto; resterei in Senegal, perché nel mio Paese, in Gambia, non è possibile vivere. Ma una volta che si è partiti non è si può tornare indietro. Semplicemente perché alle spalle si lasciano gli stessi pericoli che si incontrerebbero andando avanti e, allora, tanto vale proseguire e sperare di riuscire ad arrivare”.

Sono queste le parole con cui si è conclusa la nostra intervista con Samuel,  trentacinquenne gambiano, arrivato in Italia un anno fa, nel giugno del 2014, dopo aver affrontato il Viaggio: così i migranti chiamano il lungo e difficile percorso attraverso il deserto e il mare fino all’Europa. Tra le mani stringe alcuni disegni realizzati per raccontare ciò che le parole non riescono a catturare. Immagini di quello che Samuel e come lui tanti altri hanno vissuto. “Ho scelto di realizzare questi disegni – racconta – per far capire alla gente il perché abbiamo lasciato i nostri Paesi: per raccontare quei momenti in cui non ci sono giornalisti e fotografi a descrivere quello che succede”.

“In Gambia non c’è la democrazia, anche se la chiamano così. Per questi disegni stessi disegni potrei essere imprigionato”

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“Una volta che si è partiti non è possibile tornare indietro. Semplicemente perché alle spalle si lasciano gli stessi pericoli che si incontrerebbero andando avanti  e, allora, tanto vale continuare e sperare di arrivare”.

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“Quando siamo arrivati sulla spiaggia qualcuno ha iniziato ad avere paura e voleva tornare indietro. Ma non era possibile. Gli “arabi” volevano evitare che tornando indietro scoraggiassimo gli altri”. Ci hanno caricato il gommone sulle spalle e ci hanno fatto camminare fino al mare. Eravamo in 115 su un gommone di 12 metri”.

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“Siamo stati in mare tre giorni e tre notti senza acqua né cibo. Dopo il motore si è fermato. Eravamo in mezzo al mare in balia delle onde. Siamo stati fortunati ad essere salvati. Non è stato così per alcuni ragazzi che erano con me in Libia”.

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“La Caritas, insieme all’Italia e all’Europa sono come una Madonna che si prende cura di noi, indipendentemente dalla provenienza: ci aiuta dandoci cibo, istruzione e protezione”

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