In principio era Povia e “i bambini fanno ooh”. Ma si sa, l’interesse dell’opinione pubblica per le crisi umanitarie dura giusto il tempo di una stagione, un po’ come i pantaloni a vita alta o come i giochi virali in rete. Sono in prima pagina un giorno, poi in seconda e, via così, nel loro lungo peregrinare verso le pagine centrali di qualche inserto o qualche rubrica on-line per addetti ai lavori.
Non lo scopriamo certo oggi che l’assuefazione dei lettori è il peggior nemico dei media e delle organizzazioni impegnate nella cooperazione internazionale ma, il caso del Darfur, regione del Sudan occidentale, al centro di una delle crisi umanitarie più durature e crudeli del pianeta, è emblematico di come le società di oggi siano capaci di dimenticare. E di farlo in fretta.
Correva l’anno 2005. Al festival di Sanremo Paolo Bonolis dedica un’intera serata alla raccolta fondi per la crisi darfuriana. La colonna sonora di quella sera e dell’intero festival – “I bambini fanno ooh” del cantante Povia – diventa un tormentone nazionale a cui seguirà una polemica sull’effettivo contributo economico promesso dal cantante alle attività umanitarie del Paese. Una pagina abbastanza triste che vi risparmiamo (se volete potete fare un ripasso qui e qui).
Sanremo a parte, è stato soprattutto George Clooney a dare alla crisi del Darfur una risonanza mondiale. Un’attenzione che, forse unico tra le star di Holliwood, ha cercato di mantenere anche nel corso degli anni con periodiche visite in Africa. In Italia, nel 2007, in contemporanea con circa cinquanta Paesi nel mondo, si svolge il per la prima volta il GlobalDay for Darfur, grazie all’impegno della rete Italians for Darfur.
Vi starete chiedendo il perché di questa premessa?
Perché – nel silenzio quasi totale dei media – la crisi darfuriana, mai realmente finita, sta conoscendo in questi mesi una nuovo violento capitolo della sua storia. Secondo quando riportato dalle agenzie delle Nazioni Unite dall’inizio del 2015 sono state oltre 150 mila le persone costrette a lasciare le proprie case a causa delle violenze.
La guerra in Darfur è scoppiata nel 2003 con una ribellione da parte di alcune tribù locali che rivendicavano maggior potere ed autonomia rispetto al governo centrale di Karthoum che, per decenni, aveva relegato la regione alla marginalizzazione economica e politica. Per sedare la rivolta il governo del presidente Omar al-Bashir ha strumentalmente finanziato ed armato alcune milizie locali “arabe” generalmente indicate come “Janjaweed” e alimentato una guerra etnica e di potere all’interno dei tre stati che compongono la grande regione del Darfur.
Dall’inizio del conflitto – stando alle stime delle Nazioni Unite – ci sono stati circa 300 mila morti (per la maggior parte civili indifesi) e 2,5 milioni di sfollati. Di questi 1,5 milioni sono bambini.
In riferimento alla crisi darfuriana e al ruolo del governo sudanese, nel 2009, la Corte Penale Internazionale ha incriminato il presidente al-Bashir per crimini di guerra e contro l’umanità (nel 2010 seguirà anche l’accusa di genocidio).
Il mandato d’arresto non è mai stato eseguito e al-Bashir è stato rieletto presidente lo scorso aprile con il 94,5% dei consensi.
Nel corso del 2015 le truppe governative, che hanno incluso anche alcune ex milizie “Janjaweed” in quelle che vengono oggi chiamate Rapid Suppor Forces, hanno attaccato diversi insediamenti nelle zone controllate dai ribelli.
La situazione è aggravata dagli scontri tra tribù locali come quelli scoppiati l’11 maggio tra i gruppi Ma’aliya e Reizegat (entrambe tribù arabe) e costati la vita a centinaia di persone.
Una situazione che impedisce l’intervento delle agenzie umanitarie già vittime della scarsa collaborazione del governo di Karthoum che, nel 2009, ha espulso dal Paese una dozzina di ONG ritenute “non gradite” al potere.
“A causa del conflitto – ha raccontato all’agenzia IRIN, Geert Cappelaere, rappresentante dell’Unicef nel Paese – da quattro anni non è possibile accedere ad alcune aree”. Solo restando all’area di Jebl Marra, interessata dai recenti combattimenti, sarebbero 50 mila i bambini a cui è negato l’aiuto umanitario, incluse le vaccinazioni essenziali.
Le Nazioni Unite hanno fissato a un miliardo di dollari i fondi necessari per gli interventi umanitari in Darfur nel 2015. Una cifra che, ad oggi, sarebbe coperta solo al 28 per cento.
Violenze e mancanza di intervento umanitario aprono la strada a nuovi inquietanti scenari per una crisi che non sembra interessare più. E poco importa “se i bambini del Darfur fanno ooh”.