Parlare di migrazioni
evitando gli slogan: io ci provo

++ Naufragi: lunedì ad Agrigento funerali vittime ++Partiamo da una premessa: quello delle migrazioni è un fenomeno complesso che non può avere soluzioni facili. Si fa presto a parlare di bombardamenti, blocchi navali o di corridoi umanitari, ma dietro ognuna di queste proposte, che suonano molto spesso come semplici slogan, ci sono una miriade di piccole e grandi decisioni, responsabilità, conseguenze più o meno prevedibili. Perché mettiamocelo in testa: le migrazioni fanno parte della storia dell’umanità e non c’è modo (e, forse, anche ragione) di fermarle. Quello che si può fare è provare a gestirle limitando i traumi per chi parte e per chi accoglie. Questo è il compito della politica. Ma  prima di prendere ogni decisione o di esprimere un’opinione sul tema, ci auguriamo informata, occorre capire che sono almeno tre i livelli su cui ragionare.

Il primo livello è quello globale: fin dalle notte dei tempi gli esseri umani si spostano per cercare di migliorare le proprie condizioni di vita o per fuggire da guerre, carestie o calamità naturali. Questo avviene anche oggi in un mondo in cui le disuguaglianze tra ricchi e poveri continuano a crescere. Dal 2009, anno di “esplosione” della crisi economica globale, il numero di miliardari nel mondo è più che raddoppiato: secondo una recente indagine di Oxfam, le 85 persone più ricche al mondo hanno la stessa ricchezza della metà della popolazione più povera. E’ anche a causa di queste disuguaglianze (e non solo al desiderio di autorealizzazione) che uomini e donne si mettono in viaggio verso l’Europa, il nord America, l’Australia, il Sudafrica oppure verso le grandi città del proprio Paese andando ad alimentare un’urbanizzazione che sembra fuori controllo. Di fronte a questi fenomeni storici non basta dire “aiutiamoli a casa loro”, serve una strategia di sviluppo che vada nella direzione di ridurre le disuguaglianze e di garantire diritti anche a chi vive nelle regioni periferiche. Per farlo non basta aumentare gli aiuti allo sviluppo, serve cambiare a fondo il sistema economico in cui viviamo combattendo lo sfruttamento e promuovendo l’inclusione. Come? Non ho ricette (se le avessi lavorerei all’ONU invece di fare il giornalista), ma si potrebbe partire da una lotta serie alla speculazione finanziaria e ai paradisi fiscali, adottando norme per la tracciabilità delle materia prime, combattendo la corruzione: rimettendo – in definitiva – al centro delle scelte il benessere delle comunità più che dei singoli.

News-21-set-profughi-curdi-siriani-Turchia

Il secondo livello è quello delle crisi regionali: l’aumento esponenziale dei flussi di migranti verso l’Europa di questi ultimi anni ha la sua origine nelle recenti crisi internazionali scoppiate in Medio Oriente e nord Africa. La sola guerra siriana ha provocato 4 milioni di profughi la maggior parte dei quali si trova ancora in Medio Oriente. Potremmo poi citare la crisi libica, la situazione in Somalia ed Eritrea, la crisi del Mali e della Nigeria. Non è un caso che in concomitanza di questi avvenimenti il numero dei migranti arrivati in Europa sia passato dagli 80 mila del 2012 ai 240 mila del 2014. Per questo è necessaria una strategia di medio periodo che affronti le crisi, a partire da Siria e Libia.  Se questo non avverrà, con un Medio Oriente sempre più al collasso, non basterà distruggere i barconi perché i migranti troveranno altre vie.

IMMIGRAZIONE: SBARCHI SENZA SOSTA A LAMPEDUSA, TRE IN ARRIVOInfine c’è un ultimo livello di analisi e riguarda la stretta attualità: quel flusso di uomini e donne che preme alle porte  dell’Europa (non solo via mare). Non basta dire “sono troppi”: la priorità deve essere evitare altri morti. Per farlo è necessario lavorare in mare (lasciando perdere soluzioni improvvisate come l’intervento in Libia del 2011 di cui paghiamo ancora le conseguenze), ma anche in terra cambiando le forme dell’accoglienza. Fino a quando potrà reggere (economicamente e socialmente) il sistema in vigore oggi? Quello delle nuove cooperative che fioriscono come fiori a primavera, dei centri stracolmi e delle commissioni territoriali per la verifica delle domande d’asilo da anni al collasso, dell’emergenza permanente che permette di derogare qualsiasi regola prevista dalle leggi. Bisogna studiare una miglior ripartizione territoriale, non solo a livello europeo, ma anche dei singoli Paesi, regioni e persino città, per evitare che l’accoglienza finisca per pesare sui ceti più bassi alimentando un’inutile, quanto pericolosa, guerra tra poveri.

Sono queste le sfide che ci attendono: tre sfide a cui dobbiamo provare a dare risposte cercando di affrontarle contestualmente, ma senza confonderle perché altrimenti finiremmo, come stiamo già facendo, per ingarbugliare ancora di più la matassa.

Michele Luppi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.