E’ passato ormai un anno dal scoppio dell’epidemia di ebola in Africa Occidentale, ma la lotta per sconfiggere la malattia che ancora colpisce Guinea, Liberia e Sierra Leone è ancora lunga e difficile. Il virus è stato arginato, ma non ancora sconfitto. Lo dimostrano i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che riportiamo qui in basso: durante la settimana del 15 marzo sono stati riportati 150 nuovi casi di Ebola, la settimana precedente 116 casi. Di questi 95 in Guinea e 55 in Sierra Leone. In Liberia nessun nuovo caso è stato riportato.
Questo senza dimenticare le conseguenze economiche dell’epidemia: una crisi così profonda da aver spinto, nelle scorse settimane, i presidenti dei Paesi colpiti a chiedere alla Comunità internazionale un “Piano Marshall” contro l’Ebola.
Nei giorni scorsi Medici Senza Frontiere ha pubblicato un rapporto su quanto avvenuto negli ultimi dodici mesi denunciando gli errori commessi a livello internazionale. Negligenze che hanno avuto un ruolo centrale nel favorire la diffusione dell’epidemia.
“L’epidemia di Ebola è stata spesso descritta come una tempesta perfetta: un’epidemia transfrontaliera in paesi con sistemi sanitari deboli, che non avevano mai conosciuto l’Ebola prima”, dice Christopher Stokes, direttore generale di MSF.
“Ma questa è una spiegazione di comodo. Perché l’epidemia di Ebola andasse a tal punto fuori controllo, molte istituzioni dovevano sbagliare. E così è stato, con conseguenze tragiche ed evitabili.”
Tra le organizzazioni impegnate in prima linea al fianco del persone locale c’è anche Medici con l’Africa Cuamm. Riportiamo la testimonianza di Massimo Brenna – Medico Chirurgo di Medici con l’Africa Como Onlus
Avevo indovinato! In sala operatoria a Pujehun, ospedale nel sud della Sierra Leone, non avevano calzature della mia misura. Poco prima di partire, a fine aprile 2014, mi ero comperato un paio di Superga bianche, numero 45/46 vecchio modello da tennis, perfette allo scopo. Le avevo lavate due o tre volte nelle quattro settimane trascorse lì, per macchie di sangue e… altro. Erano andate benissimo. Mi dispiaceva lasciarle, ma Swaray l’aiuto infermiere di anestesia me le aveva chieste come “ricordo”.
Swaray era alto quasi come me, credo 185 cm. con un fisico da “bronzo di Riace”, trentacinque anni, musulmano devoto e persona gentile, sposato, due figli e appassionato di calcio. Qualche volta dopo la sala operatoria, andavamo a guardarci le partite di Champions League nella unica sala TV del paese. Avevamo provato anche a seguire la finale tra Real Madrid e Atletico, ma non si riusciva ad entrare per troppo pubblico! Allora c’eravamo seduti in una bettola per berci qualcosa insieme: io una birretta fresca e lui, musulmano, una coca cola. Così gli ho regalato le scarpe usate, rilavate e forse anche un po’ troppo grandi… e lui era felice.
Swaray è morto di Ebola a fine agosto, solo tre mesi dopo il mio rientro in Italia, nel pieno dell’epidemia. Circa un anno fa venivano segnalati i primi casi di Ebola in Guinea e Liberia, a fine maggio 2014 i primi casi in Sierra Leone.
Ci sono voluti 3000 casi e quasi 2000 morti prima che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) dichiarasse che era in atto una epidemia senza precedenti. Ci sono voluti casi di Ebola di operatori sanitari espatriati perchè l’Occidente (Europa e Usa) cominciasse a preoccuparsi e a reagire e perché i media si occupassero dell’epidemia.
Ci sono voluti solo alcuni mesi e il controllo delle frontiere perché tutto tornasse nel dimenticatoio.
Da quanti mesi i media non si interessano più dell’argomento? Nel frattempo l’epidemia non si è fermata , anche se ha rallentato visibilmente. I numeri attuali si attestano intorno a circa 25.000 casi e 10.500 morti ( più del 40% del totale). Nonostante ciò quasi nessuno ne parla più. La nostra società non si sente più minacciata e i media hanno notizie più interessanti da pubblicare. Le statistiche non fanno vendere e non si ricordano. Da agosto l’Ebola per me non è solo un’epidemia e una statistica, ma è un ricordo. Ha il volto di Swaray che faceva l’aiuto infermiere, aveva la passione per il calcio e… un paio di scarpe da tennis bianche.
Fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità ( OMS )