“Perché quando compriamo o mangiamo una bistecca pretendiamo di sapere dove l’animale è stato allevato, macellato e, persino, con quali mangimi è stato nutrito, mentre quando compriamo un qualsiasi apparecchio elettronico non possiamo sapere nulla sull’origine dei minerali che lo compongono?”
Eugenio Melandri, ex parlamentare europeo, parte da questa semplice domanda per presentare ad Africaeuropa la Campagna “Minerali Clandestini” lanciata in queste settimane da due ONG italiane – Chiama l’Africa e Solidarietà e Cooperazione Cispi – e collegata ad un’analoga iniziativa promossa a livello europeo da EurAc, rete di 39 organizzazioni europee che si occupano di Africa centrale. La richiesta dei promotori è quella di chiedere alle Istituzioni europee una maggior incisività nelle norme che riguardano la tracciabilità dei minerali provenienti dalle aree di conflitto: due recenti direttive della Commissione in materia pongono, infatti, la questione nell’ottica delle “volontarietà” della aziende che sono invitate – e non obbligate – a rendere nota l’origine dei minerali utilizzati.
Com’è nata la scelta di questa campagna e della petizione?
“La scelta di chiedere all’Europa un impegno sulla tracciabilità dei minerali, con un occhio particolare a quelli utilizzati nell’industria high-tech, nasce dall’esperienza di un percorso analogo che, anni fa, ha portato ad una normativa internazionale per la tracciabilità dei cosiddetti diamanti insanguinati. Erano gli anni della guerra civile in Sierra Leone e in Liberia. Oggi non possiamo negare come esista ancora il problema del contrabbando dei diamanti e, certamente, non tutto è risolto, ma vi sono stati grandi passi avanti nella presa di coscienza del problema. Vorremmo che lo stesso fosse fatto anche per altri minerali come il coltan, minerale utilizzato per la costruzione di microprocessori, che in questi ultimi vent’anni ha alimentato nell’est della Repubblica Democratica del Congo una guerra che è costata la vita a oltre 6 milioni di persone. Lo stesso discorso può valere per l’uranio in Tanzania o l’oro in Repubblica Centrafricana; vorremmo che tutti i minerali fossero tracciati”.
Proprio per quanto riguarda la Repubblica Democratica del Congo nel 2010 gli Stati Uniti hanno approvato una legge (la Dodd-Frank) che obbliga le aziende quotate in borsa a non utilizzare minerali prodotti nelle aree di guerra. Una legge che ha avuto però anche effetti perversi – denunciati da alcuni rappresentanti della comunità locale congolese – portando al ritiro di alcune compagnie con conseguenze dirette per decine di migliaia di minatori. Cosa ne pensa?
“Quello del coinvolgimento della società civile è un punto per noi irrinunciabile. La Campagna che stiamo promuovendo nasce dalla volontà di aiutare la comunità locale – in particolare proprio quella del Kivu, con cui abbiamo rapporti molto stretti – a far sentire la propria voce di fronte alle istituzioni europee. Per questo lavoriamo con la diaspora congolese e altre associazioni. Certamente i problemi del Congo non sono solo legati al contrabbando del Coltan, ci sono questioni legate alla democrazia, al controllo della terra, ai diritti di cittadinanza e, più in generale, alla stabilizzazione della regione. Perché se è vero che lo sfruttamento delle risorse non è stata la causa prima della guerra, certamente è stato uno dei fattori più forti nell’alimentarla. Anche ora che si sta vivendo una situazione di calma apparente”.
Quali obiettivi concreti vi ponete nei prossimi mesi?
“Il nostro obiettivo è prima di tutto quello di sensibilizzare l’opinione pubblica così che ognuno al momento di acquistare un telefono o un computer si ponga il problema non solo dell’origine dei minerali utilizzati, ma anche dell’utilità o meno di cambiare apparecchio, magari anche solo per moda. Perché accanto al tema dell’origine dei minerali c’è anche la grande questione dello smaltimento di questo tipo di rifiuti. La petizione diventa così un sistema attraverso cui vorremmo proporre incontri e momenti di riflessione. Per quanto conosco le Istituzioni europee posso dire che, per quanto un’idea possa essere giusta, se è sostenuta da una sola persona non verrà mai presa in considerazione. Per questo è necessaria una grande mobilitazione che coinvolga il maggior numero di persone possibili. Solo così si potrà influire realmente sulle normative comunitarie e sperare di cambiare qualcosa, in Europa come in Congo”.
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basta blood coltan!!!
estoy de acuerdo con este articulo, por favor dejen de robar a los paises que tienen recursos