Verso il 3 ottobre. Non solo commemorazioni, facciamo lo sforzo di capire le migrazioni

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Mancano pochi giorni al 3 ottobre primo anniversario della tragedia di Lampedusa che, con le sue 368 vittime, è divenuta il simbolo di tutte le morti del Mediterraneo (oltre 22 mila dal 2000 – dati IOM).

In varie parti d’Italia e d’Europa sono in programma iniziative di commemorazione per quella che è stata ribattezzata la “Prima giornata della Memoria e dell’Accoglienza”.

Da parte del “Comitato 3 Ottobre”, anima dell’ iniziativa, è arrivato l’invito a fare di questo giorno un’occasione di impegno, per andare oltre il semplice, seppur doveroso ricordo.

Anche noi di Africaeuropa vogliamo fare la nostra parte offrendo un contributo che sia soprattutto di riflessione su un tema troppo spesso banalizzato come quello delle migrazioni.

084627591-d4f789af-0b2e-4b29-a2cc-7528d2f4ca83Vorremmo, soprattutto, rivolgere un invito ad allargare lo sguardo perché il tema delle migrazioni non può essere ridotto al – seppur doveroso, urgente e necessario! – dibattito sul diritto d’asilo.

Perché al di là della situazione contingente, con i flussi crescenti a cui stiamo assistendo a causa delle crisi internazionali in atto (Siria su tutte), non dobbiamo dimenticare come quello migratorio sia un fenomeno dalle radici profonde che ci accompagnerà a lungo. Ammettiamolo: anche se le guerre dovessero finire ora (lo speriamo), i flussi – seppur in forma minore – continueranno!

Questo perché sono la naturale conseguenza delle disuguaglianze che ancora esistono (e anzi aumentano) tra ricchi e poveri.

Qualcuno potrà obiettare che è un tema vecchio (è vero), ma è un tema che non è stato mai realmente affrontato. 

Perché se qualche successo è stato raggiunto nella lotta alla povertà, questo è dovuto più alla crescita economica di alcuni Paesi (BRICS in testa) che non ai programmi di sviluppo portati avanti in questi ultimi vent’anni.

ricchezza-povertaGuardando all’Africa non possiamo dimenticare come, nonostante il dinamismo infrastrutturale e la grande crescita economia in molti Paesi, le disuguaglianze tra ricchi e poveri siano in crescita. E lo stesso sta avvenendo in quell’Europa che continua a proporre le proprie ricette per lo sviluppo. Un malato che cerca di curarne un altro!

Il presidente della Commissione dell’Unione africana, Dlamini Zuma, a Bruxelles nell’aprile scorso aveva messo in guardia i leader dell’Ue: dobbiamo pensare – aveva detto – ai 10 milioni di giovani africani che ogni anno entrano nel mercato del lavoro ritrovandosi, in molti casi, senza un’occupazione.

E questo grafico  che mostra l’età media dei cittadini dei Paesi dell’Africa vale più di mille parole…

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Quali proposte di futuro ha da offrire l’Europa e la Comunità internazionale (Unione africana in primis) a questi giovani, quali alternative all’emigrazione?

Queste sono le domande che bisognerebbe avere il coraggio di porsi e non chiederci semplicemente come “fermare l’invasione” o come accogliere chi è nel bisogno. Ammettendo che il sistema di relazioni economiche e sociali in cui viviamo non è più sostenibile, servirebbe una visione politica lungimirante che sembra oggi mancare a tutti i livelli.


Scegliamo solo un esempio tra i tanti: nel dicembre 2015 a Parigi si terrà un importante vertice internazionale sul clima che dovrà arrivare alla definizione di un nuovo protocollo internazionale che superi il “Protocollo di Kyoto”.

Un fenomeno, quello dei cambiamenti climatici, che ha e avrà pesanti implicazioni sui flussi migratori dall’Africa: secondo quanto dichiarato dall’Africa Adaptation Gap Report (2013), i costi che il Continente dovrà sostenere a causa dell’aumento delle temperature sono stimati, dal 2020, tra i 7 e i 15 miliardi di dollari all’anno.

Per andare ancora più nel concreto basti pensare al progressivo prosciugamento del lago Ciad che, negli ultimi 40 anni, ha perso il 90% della sua estensione modificando la vita economica e sociale di milioni di persone tra Nigeria, Camerun, Ciad e Niger. 

Con quali conseguenze? E se queste persone saranno costrette ad emigrare dove andranno?

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Per questo pensiamo sia importante conoscere per poter agire, prima che sia troppo tardi.

Il 3 ottobre sia allora un punto di partenza in questo cambiamento culturale, per abituarci ad alzare la testa e guardare un po’ più in là, oltre i muri dell’Europa.

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