Il 9 settembre scorso si è tenuta a Roma la Giornata di consultazione nazionale sull’Agenda di sviluppo post-2015 promossa da Concord Italia, il capitolo italiano della confederazione europea delle ONG, e da GCAP, la Coalizione contro la povertà.
Un appuntamento che ha avuto il merito di riportare l’attenzione – quanto meno degli addetti ai lavori – sul tema della cooperazione allo sviluppo in vista della conclusione della campagna per gli “Obiettivi di Sviluppo del Millennio” fissata per il 2015.
Ma c’è un tema che noi di africaeuropa vorremmo fosse messo sul piatto e affrontato, dai governi e dalle grandi organizzazioni internazionali, come prioritario. E’ il tema delle rimesse verso l’Africa ed, in particolare, dei costi iniqui applicati ai trasferimenti di denaro effettuati dai migranti verso il continente.
Stiamo parlando di una cifra vicina ai 40 miliardi di dollari all’anno. Per dare un paragone: nel 2013 il valore complessivo degli Aiuti Pubblici allo Sviluppo destinati all’Africa dell’Unione europea e dai 28 Stati membri è stato di 56,5 miliardi di euro. E l’Europa è, ancora oggi, il più grande donatore a livello mondiale.
Nel corso del G8 dell’Aquila (2009) i “grandi” della terra si erano impegnati a ridurre la tassazione sulle rimesse al 5% entro 5 anni. Un impegno ripreso al Summit di Cannes dal G20 nel novembre 2011, ma ancora lontano dall’essere raggiunto.
Secondo l’ultimo rapporto, pubblicato nel mese di luglio, da “Send Money to Africa”, progetto di monitoraggio della Banca Mondiale – finanziato dall’Unione europea – nel secondo quadrimestre del 2014 il costo medio applicato alle rimesse verso l’Africa era dell’11%.
L’Africa si conferma il continente più caro verso cui trasferire denaro: con un costo superiore del 2,8% alla media mondiale e quasi il doppio rispetto ai trasferimenti verso l’Asia.
Il calcolo è effettuato su due tipologie di trasferimenti: 200 e 500 dollari. In molti casi le commissioni applicate dalle compagnie su cifre più basse sono percentualmente ancora maggiori.
Ad essere particolarmente cari sono i trasferimenti di denaro all’interno dello stesso continente africano. I dieci “corridoi” più costosi al mondo si trovano in Africa.
Una situazione denunciata alcuni mesi fa da uno studio dal titolo “Lost in intermediation” condotto dalla ONG britannica ODI (Overseas Development Institute), che aveva provato a quantificare il costo di queste distorsioni.
Secondo il rapporto la riduzione dei benefici delle rimesse, dovuta agli eccessivi costi, è quantificabile – per l’Africa – tra 1,4 e 2,3 miliardi di dollari ogni anno.
Tra le principali cause di questa anomalia ci sarebbero le strategie delle grandi società di money trasfert. Un mercato dominato dalle cosiddette “big four”: Western Union, MoneyGram, Ria Financial services e Sigue. Una situazione di oligopolio favorita da accordi tra le società e governi, da ostacoli burocratici e da limiti strutturali.
La sola Wester Union, leader mondiale, ha incassato, nel 2012, 3,5 miliardi di dollari dalle commissioni sulle transazioni.
Un dominio che potrebbe essere scalfito grazie alla diffusione di nuove tecnologie.
Citiamo ad esempio il servizio M-Pesa network lanciato in Kenya, nel 2007, da Safaricom per permettere il trasferimento di piccole somme di denaro tramite i telefoni cellulari. Un servizio che oggi ha quasi 20 milioni di utenti nel Paese e che, grazie all’ingresso nel mercato di nuovi soggetti, si sta diffondendo in molti altri Stati.
Ridurre i costi sulle rimesse, rispettando gli impegni presi a L’Aquila e a Cannes, permetterebbe di liberare risorse importanti per lo sviluppo dell’Africa.
Non stiamo dicendo che un servizio (perché di questo si tratta) non debba essere pagato, né che le società in questione debbano fare beneficenza, ma gli organismi preposti e i governi dovrebbero vigilare contro situazioni poco trasparenti, eliminando quelli che sono “oligopolio di fatto” e eliminando accordi iniqui e “fuori mercato” che finiscono per arricchire pochi sulle spalle di molti.
Questo è un tema che, oggi più che mai, merita una riflessione attenta perché, come fa notare Adams Bodomo, direttore del Programma di Studi africani dell’Università di Hong Kong, l’ammontare delle rimesse verso l’Africa è destinato ad aumentare nei prossimi anni grazie alla formazione di nuove diaspore in Paesi economicamente in crescita come Cina, Russia, India e Brasile.
Non saranno certo uno o due miliardi di dollari in più all’anno a risolvere i problemi del sottosviluppo, ma sono risorse che – siamo convinti – servano più nelle tasche delle famiglie africane (e delle economie locali) che non nei bilanci delle società di money trasfert.