Un centro per l’ itticoltura in Togo e un’azienda ottica in Burundi. Sono queste due piccole aziende che vedranno la luce nei prossimi mesi, il risultato tangibile della prima African Summer School che si è svolta a Verona nell’estate del 2013.
Ma dietro questi due progetti c’è molto di più: c’è la visione di un’associazione “AfricanFriends” che vuole provare a coniugare cultura ed imprenditoria per diffondere la visione di un’Africa diversa, ricca di opportunità da trasformare in ricchezza per entrambe le sponde del Mediterraneo. Per farlo servono però idee chiare, formazione e competenza: quelle che cercheranno di offrire agli studente che, dal 3 al 10 agosto, parteciperanno a Verona alla seconda edizione della scuola. Per saperne di più Africaeuropa ha intervistato il direttore Fortuna Ekutsu Mambulu.
Come nasce l’African Summer School?
“Prima di buttarmi nell’avventura dell’African Summer School ho lavorato per quattro anni e mezzo come redattore economico a Afriradio. Lì ho capito come l’informazione economica sull’Africa stesse cambiando, seguendo il crescente interesse dei mercati internazionali, mentre l’attenzione da parte dell’informazione generalista era ferma ad una visione dell’Africa fatta di disastri naturali, crisi e terrorismo. Terminata quell’esperienza professionale ho pensato che sarebbe stato importante lavorare ad un progetto che diffondesse l’idea di una nuova cultura dell’Africa come terra di opportunità, offrendosi come aiuto a quanti hanno intenzione di avviare imprese nel continente”.
Considerate la vostra scuola una “Business Incubator”. Spesso, però, gli investimenti in Africa si accompagnano a esperienze di cattiva imprenditoria. Come valorizzare le esperienze positive?
“Bisogna farlo puntando sulle competenze delle persone e sulla loro cultura del lavoro; poco importa se si tratti di italiani o di africani. In Africa ci sono problemi banali che richiedono soluzioni imprenditoriali e il nostro è un approccio che si basa sulle microimprese, dove ci sono persone che mettono la propria vita in gioco. Dall’altra parte ci sono le grandi aziende che hanno le loro logiche, non sempre condivisibili o giuste, ma non è da una guerra frontale a queste logiche che si arriva al cambiamento. Dobbiamo partire dalla base, dalle idee dei giovani”.
Quale opportunità offre a queste persone la vostra Summer School?
“La nostra è un’esperienza unica nel suo genere perché affianchiamo la formazione imprenditoriale a quella culturale. Siamo convinti che un imprenditore non possa andare in Africa con il pregiudizio di essere superiore agli africani, senza conoscerne la storia o i territori. In una parola: senza umiltà. Solo così si evitano gli errori che spesso fanno le grandi realtà”.
C’è qualche esperienza virtuosa uscita dal primo anno della Scuola?
“Al termine della Summer Scool abbiamo ricevuto 11 business plan e a novembre 2013 ne abbiamo premiati 4. Il primo premio, per cui ci siamo impegnati a trovare i finanziamenti, prevede la creazione di alcuni bacini per l’itticoltura in una zona del Togo dove si consuma molto pesce, per la maggioranza di importazione. A promuoverlo sono un giovane togolese e una giovane del veronese che si sono incontrati proprio alla Summer School. L’investimento iniziale previsto è di 25 mila euro, 20 dei quali arriveranno tramite un finanziamento di una banca italiana”.
C’è qualche altre progetto interessante che si è concretizzato?
“A settembre partirà il progetto di una giovane studentessa che, dopo aver studiato ottica in Italia, tornerà in Burundi per lavorare ed aprire una propria azienda ottica. Il business plan è già pronto e anche un sostegno finanziario iniziale già procurato tramite una associazione trentina”.
Siamo alla vigilia della conferenza Italia-Africa prevista per il 2015. Che idea si è fatto? Dal recente viaggio di Renzi in Africa sembra ci sia più attenzione ai grandi gruppi che non alle piccole imprese…
“Ci sono ancora pochi elementi per poter esprimere un giudizio sul progetto Italia-Africa, ma resta un importante appello da parte del governo. Per quanto riguarda il viaggio di Renzi credo sia mancata questa seconda parte, legata proprio alle piccole imprese, ma bisogna anche ricordare l’importanza di garantire gli approvvigionamenti energetici. Il governo deve però ricordarsi che l’Italia è un paese di piccole e medie imprese che non vanno dimenticate, per questo è necessario che queste realtà si attivino e facciano lobby in vista della conferenza Italia-Africa. Lo stesso vale per la diaspora africana: anche noi dobbiamo attrezzarci per riempiere questa iniziativa di contenuti”.
Quali sono le sfide da vincere perché la relazione tra Africa e Europa diventi positiva per entrambe le sponde del Mediterraneo?
“Dobbiamo far capire ai politici europei, tutti senza distinzione, che il loro modo di guardare all’Africa nel profondo non è cambiato. E’ un pensiero ancora contaminato dal colonialismo. Bisogna andare in Africa con umiltà, ma questo spesso non avviene. I cambiamenti in atto nel mondo richiedono all’Europa di trovare un nuovo atteggiamento anche perché, di fronte alla diffusione della Cina in Africa, o l’Europa cambierà linguaggio o sarà difficile mantenere legami commerciali. L’Europa ha solo da guadagnare da un’Africa forte e dovrebbe evitare di intervenire per distruggere come avvenuto nel caso libico di cui oggi paghiamo le conseguenze”.
Che idea si è fatto degli Accordi di partenariato economico (EPAs) che sono in via di definizione tra Ue e Stati africani?
“Non so se gli EPAs saranno firmati da tutti i Paesi africani e, sinceramente, spero che ciò non avvenga perché comporterebbe rischi per la nascente industria africana. Dall’altra parte credo, però, si stia andando verso la creazione di grandi unioni commerciali necessarie a compensare la crescita dei mercati asiatici e quindi un accordo, seppur con dei correttivi, andrà fatto. Personalmente non sono a priori contro un accordo di libero scambio, ma se garantiamo la libertà di circolazione delle merci dovremmo garantirlo anche alle persone”.