Edizioni Sui: Una scrittura senza confini per lottare contro i luoghi comuni

1688307_288034824683893_485716156_nOgni giornalista sa che all’inizio di un articolo bisogna mettere la Notizia. Le famose cinque doppie “W” del giornalismo anglosassone: who, what, where, when, why. Ma come fare quando i temi toccati in un’intervista sono tanti, quando si resta indecisi, con il foglio bianco d’avanti, a cercar di capire come iniziare.

Perché in Italia è una notizia che ci sia ancora qualcuno convinto di poter fare dell’editoria la propria vita. Pubblicando, da Prato, libri destinati al mercato italiano e non solo.

Perché è una notizia trovare qualcuno che ripeta, con forza, come se non cambiamo la narrativa che abbiamo dell’altro, qualsiasi forma di cooperazione sarà zoppa se non inutile. E che una nuova relazione tra Africa ed Europa (se mai ci sarà) passa, oggi più che mai, dalla penna degli scrittori e dagli occhi dei lettori.

Perché – e qui il purtroppo è d’obbligo – per alcuni è una notizia che ci possano essere immigrati che scrivono libri. Per di più belli. Libri capaci di mettere in crisi le nostre certezze.

Brhan Tesfay

Brhan Tesfay

E potremmo continuare nell’elencare i motivi per cui non è facile rendere conto di un’intervista a Brhan Tesfay, scrittore e fondatore della Casa Editrice Sui (Sviluppi Umani Immaginati). Una realtà che, rubiamo le parole del loro sito, “pubblica in formato tradizionale e digitale rappresentazioni ispirate dal magma del vissuto: romanzi, saggi, fiabe, poesie, biografie, teatro. La missione è dare spazio alla narrazione senza patria”. E lo fa con quella cura “riservata alle lettere private”.

Brhan, Edizioni Sui nasce alla fine del 2012. Perché?

“Per due anni ci siamo chiesti se ci fosse spazio per una realtà come la nostra. L’idea è quella di dare spazio alla narrazione senza patria, tutto quello che consideriamo senza confini. Ma non siamo una casa editrice di migrazione, pur toccando in alcuni dei nostri titoli – come “Imbarazzismi” e “Specchi sbagliati” – i temi della multiculturalità.

Qual è allora il vostro filo conduttore?

“L’idea di voler narrare la diversità; lo facciamo rivolgendoci a quella generazione cresciuta nel mondo della globalizzazione e che vuole incontrarsi senza confini. Abbiamo pubblicato un libro di Silvia Sànchez Rog, scrittrice spagnola, che affronta il tema della realtà di coppia. In “Sventola l’aquilone” di Donata Testa, l’argomento centrale è l’omossesualità”. Lo facciamo senza voler esprimere giudizi: lasciamo che siano le storie a parlare e i lettori saranno liberi di trarne ciò che credono”.

131330_277755329045176_915283342_oDal vostro sito leggo che destinate parte dei proventi ad opere sociali.

“Questa è un’altra delle nostre follie. Crediamo però che anche un’azienda privata si debba occupare della collettività, per questo sosteniamo opere che ci sembrano importanti”.

Quale ruolo ha la scrittura nella costruzione delle relazioni tra individui e tra popoli?

“Le parole sono quelle che, per prima cosa, contribuiscono a costruire l’immaginario collettivo di un popolo. Se a me parlano male di una persona, sarò prevenuto nei suoi confronti quando la incontrerò. Per questo credo che la narrativa venga prima di qualsiasi tipo di cooperazione. Conoscere la letteratura africana, ma questo discorso vale per qualsiasi altro continente, è fondamentale. Mi permetta un esempio…”

Prego

“Perché se in Italia avessimo mille euro da investire, l’ultimo posto in cui lo faremmo sarebbe l’Africa? Questo perché il racconto che c’è stato fatto è quello di un continente dove esistono solo povertà, guerre e carestie. Lavorare sulla narrazione è dunque il primo passo. Poi certamente è importante anche avere medici, infermieri, economisti, ma deve prima cambiare l’immaginario”.

Kossi Komla Ebri, autore di Imbarazzismi

Kossi Komla Ebri, autore di Imbarazzismi

Da dove partire?

“Viviamo in una realtà in cui gli africani sono intrappolati in alcuni ruoli. E allora finché racconti l’immigrazione va bene, ma se vai oltre e proponi qualcosa di diverso no. Alcuni stereotipi sono duri a morire: come quello che un immigrato possa scrivere. Ci siamo chiesti come decostruire questo immaginario e la risposta che ci siamo dati è stata una sola: facendo dei libri. Belli”.

Il difficile momento dell’editoria in Italia non vi ha scoraggiato?

“Credo vi sia spazio per una realtà come la nostra. Le Case editrici tradizionali preferiscono pubblicare libri che vengono da fuori, puntando sui grandi nomi, piuttosto che coltivare autori dall’interno. Questo perché alla cultura non si legano i soldi e si preferisce andare sul sicuro. Eppure i lettori ci sono, ma si fatica a considerare la cultura come un fattore economico. E se tu consideri la lettura come una cosa d’elité non fai che alimentare il cortocircuito”.

Nella vostra collana vi sarà spazio per scrittori africani?

“Questo è uno dei nostri obiettivi, anche grazie alla parallela collana in lingua inglese. Saremmo felici di allevare autori provenienti dall’Africa o africani che stanno in Italia. Tenendo però presente come ad essere importanti sono le storie e non il Paese da cui provengono gli autori. La scrittura viene al primo posto”.

Kenya3_h_partbPuntando magari al crescente mercato dei lettori in Africa?

“Certamente. Noi siamo anche un po’ figli della tecnologia. Oggi realizzando un e-book che costa 4 o 5 euro si ha la possibilità di raggiungere un pubblico prima impensabile. Un lettore della Nigeria può comprare un libro edito da noi a Prato (ovviamente in inglese) con un click. Penso anche alla possibilità che si potrebbe dare alle università di tanti Paesi africani di pubblicare saggi che possano raggiungere un mercato molto più ampio di quello locale. Il 90% della cultura che viene prodotta in Italia, riguarda l’Italia. Grazie alla collana in inglese vorremmo che prodotti editoriali italiani possano raggiungere il mondo. Senza confini”.

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