Capita in politica che una smentita valga più di cento conferme.
È il caso delle recenti dichiarazioni del commissario europeo agli Affari interni, Cecilia Malmstrom, che – nei giorni scorsi – ha comunicato come la Commissione europea non stia pensando a “una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia in merito alla presunta mancanza di registrazione delle impronte dei richiedenti asilo”.
Anche se, ha precisato il suo portavoce, la “Commissione sta analizzando la questione dato che alcuni Stati membri hanno sollevato preoccupazioni in merito”.
Ma perché, di fronte alle continue tragedie del Mediterraneo, dovremmo perdere tempo a parlare di impronte?
La risposta è semplice, quanto difficile da accettare: perché su quel dito sporco di inchiostro si regge l’intero sistema europeo di accoglienza e asilo. Un sistema già di per sé carente, ma che l’aumento dei flussi degli ultimi mesi sta portando al collasso.
Il presidente del Consiglio Renzi nel suo discorso a Strasburgo per l’avvio del semestre di presideza ha preferito non calcare troppo la mano di fronte ad un’ “Europa dalla faccia annoiata”, perché quello delle migrazioni è un tema che può far saltare il banco di alleanze politiche e programmi.
Allora meglio non battere i pugni, a Strasburgo come ad Asmara, dove il viceministro agli Affari esteri Lapo Pistelli ha incontrato il presidente eritreo Isaias Afwerki invitandolo a “ricominciare”, senza preoccuparsi di spendere – almeno nelle dichiarazioni ufficiali – una parola per i tanti, troppi, figli dell’Eritrea che fuggono (e muoiono) in cerca della libertà. Poco importa se il Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha appena lanciato una speciale commissione d’inchiesta sull’Eritrea.
Il viceministro si giustificherà dicendo che l’isolamento internazionale non ha funzionato e che è necessario ripartire dal dialogo. Forse il tempo gli darà ragione, ma quanto stona la realpolitik di fronte alle bare dei migranti allineate sulle banchine.
Intanto – mentre i politici europei prendono tempo, le Nazioni Unite guardano altrove e i leader africani restano in silenzio – fiumi di profughi continuano a gettarsi nel Mediterraneo, contro le reti metalliche di Melilla e lungo le vie dei Balcani.
Ma guai a pensare a corridoi umanitari: saranno il mare, la volontà degli scafisti o la resistenza fisica, a decidere chi ce la farà.
E poi, una volta arrivati in Europa, nemmeno parlare della possibilità di raggiungere parenti e amici pronti ad aspettarli oltre le Alpi.
Non si può, gli accordi di Dublino lo vietano: in Italia sono arrivati, in Italia devono essere identificati (qui entrano in gioco le impronte) e in Italia presentare la domanda di asilo politico o protezione umanitaria. Anche se l’Italia non ha nulla da offrire loro, anche se per loro siamo solo il pianerottolo di quella grande casa chiamata Europa.
Questo lo sanno loro, lo sa il governo italiano, le forze dell’ordine e le stesse Istituzioni europee. Allora ecco per magia che molti dei migranti arrivati non vengono identificati. Anzi vengono aiutati a spostarsi verso il confine.
Così chi ha i soldi per partire si ritrova a Milano, a Como e in altre città del nord, pronto a spiccare il volo. Nessuno fa loro il riconoscimento perché sono le stesse istituzioni che, di fronte al crescere dei numeri e al disinteresse di Bruxelles, chiudono gli occhi sperando di vederli sparire.
Poco importa se per farlo dovranno pagare migliaia di euro a loschi affaristi ed intermediari, alimentando quella rete di criminali che Mare Nostrum dice di voler combattere.
Nelle stanze dei bottoni ci sarà qualche prefetto o funzionario felice perché parte di questi uomini e donne saranno andati via, non saranno più un loro problema. “In barba all’Europa”, diranno. Ma, in fondo, lo stanno dicendo a loro stessi.
Perché quello che avrebbe potuto essere un grande atto – istituzionalizzato – di disobbedienza civile contro queste regole perverse o, più semplicemente, un atto di buonsenso, si sta trasformando nell’ennesima ipocrisia di un’Europa in cui tutti (Malmstrom in testa) sanno, ma fingono di non vedere, perché troppo impauriti per affrontare il problema.
Un’Europa che si mostra sempre più divisa, senza una bussola e, ancora più grave, senza una coscienza.