Sono decise le parole con cui il Commissario europeo allo sviluppo Andris Piebalgs ha espresso, all’inizio di giugno e a pochi mesi dal rinnovo della Commissione Ue, l’impegno europeo nel proseguire i negoziati per la definizione degli Obiettivi per uno sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs): una nuova serie d’impegni internazionali che rappresenterà la naturale prosecuzione degli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDGs) lanciati dalle Nazioni Unite nel 2000 e che si avviano alla conclusione nel 2015.
Un dibattito che non può lasciare indifferente l’Europa, da sola responsabile di oltre la metà degli aiuti destinati allo sviluppo dai governi di tutto il mondo.
Nel corso del 2013, nonostante la difficile congiuntura economica, le istituzioni comunitarie e i 28 Stati membri hanno destinato ai Paesi in via di sviluppo 56,5 miliardi di euro, con un aumento di 1,2 miliardi rispetto al 2012.
Una cifra, pari a circa lo 0,43% del Pil europeo, ancora però lontana da quella soglia dello 0,7% che i Paesi ricchi si erano impegnati a destinare agli aiuti pubblici allo sviluppo entro la scadenza dei MDGs.
Tra i Paesi già arrivati al traguardo ci sono Svezia (1% del PIL), Danimarca (0,84%), Lussemburgo (0,96%) e Regno Unito (0,70%).
Poco più indietro troviamo Olanda (0,61%) e Finlandia (0,55%), seguiti da Belgio (0,44%), Francia (0,48%), Austria (0,43%) e Germania (0,37%).
Molto più indietro i Paesi dell’Europa meridionale e orientale come l’Italia e la Spagna (ferme allo 0,17%) o Polonia e Ungheria (0,10%).
Ma guardando a quanto avvenuto negli ultimi anni in Asia, Africa e America Latina si comprende come la sfida della cooperazione allo sviluppo non possa essere ridotta a una mera questione monetaria.
Da tempo la stessa Europa sta lavorando per cercare di migliorare l’efficacia degli aiuti rendendo l’intero sistema più trasparente.
Consapevoli di come molte delle grandi sfide che attendono l’Europa e il mondo – dai cambiamenti climatici alle migrazioni, passando per gli equilibri commerciali – richiedano uno sforzo e una condivisione tra Paesi e popoli ben superiore a una semplice percentuale del Pil.
Perché, come ha recentemente dichiarato Dhananjayan Sriskandarajah, segretario generale di Civicus, Alleanza mondiale per la partecipazione dei cittadini, “non è solo una questione di soldi”. “Mi auguro – ha proseguito Sriskandarajah – che per il 2030 l’obiettivo prioritario della cooperazione sia combattere le disuguaglianze, così come oggi è stato quello di porre fine alla povertà estrema”.
“Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente – scrive il Papa -, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria”.
Il Papa esorta allora a considerare le parole di un saggio dell’antichità come san Giovanni Crisostomo: “Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro”.
Parole che indicano una strada da seguire. Perché per sradicare la povertà estrema non bastano tecnologie e risorse, servono regole contro le ingiustizie.
(testo pubblicato sul sito www.eurcom.org)