Risultato dell’Eu-Africa Summit: “Uno zero a zero, ottenuto in trasferta”.
Ci serviamo di una metafora calcistica per cercare di riassumere i risultati dell’Eu-Africa Summit di Bruxelles. Certi che sarà importante capire, al di là della dichiarazione conclusiva, quali saranno le conseguenze concrete, non tanto delle decisioni prese (poche per la verità), ma del lungo lavoro portato avanti sotto traccia dalle diverse diplomazie, lontani da telecamere e taccuini.
Immaginando un’ipotetica partita giocata a Bruxelles, il risultato più vicino a quanto visto in “campo” ci sembra quello di un pareggio, senza grandi emozioni per la verità. Con le parti impegnate a giocare sulla difensiva, guardando più agli errori da evitare che non al perseguimento dei propri obiettivi.
Lo si capisce ad esempio guardando al tema degli EPAs, gli accordi di partenariato economico su cui l’Unione europea e gli Stati africani lavorano da oltre un decennio con continui rinvii. Di fronte alle tensioni degli ultimi mesi si è scelto di tenere, almeno ufficialmente, il tema da parte, come se fosse qualcosa di marginale. Nella dichiarazione conclusiva i leader di Africa ed Europa si limitano ad un astratto invito a proseguire i colloqui, senza una parola sulla scadenza del prossimo 1 ottobre (entro cui l’Ue punta a siglare tutti gli accordi) che appare oggi più che mai difficile da rispettare.
Un discorso analogo può essere fatto per i cambiamenti climatici, altro grande tema sul piatto, per cui si è deciso di rimandare al 2015 la firma di un accordo vincolante tra le parti.
Anche l’atteso pronunciamento sulle migrazioni appare tiepido e astratto senza precise modalità di intervento. Da sottolineare, come elemento positivo, il richiamo però al ruolo della diaspora africana in Europa e l’ impegno a ridurre la tassazione sulle rimesse.
Qualcuno potrebbe allora chiedersi cosa ci sia stato di positivo?
Prima di tutto la partecipazione al Summit dei capi di stato e di governo (circa 90 delegazioni presenti) e la copertura mediatica che, sopratutto in Africa (meno in Europa e ancor meno in Italia), è stata data alla due giorni di Bruxelles. Uniche eccezioni, da annotare, l’assenza sul fronte europeo del premier inglese Cameron e, su quello africano, del presidente sudafricano Zuma. Anche il tentativo del presidente Mughabe di spingere per il boicottaggio del Summit, a causa del mancato invito a partecipare di sua moglie, è caduto nel vuoto. Mughabe, non presente in Belgio, è rimasto solo ed è forse lui l’unico ad uscire sconfitto dal Summit.
Non possiamo poi dimenticare il via libera alla missione Ue in Repubblica Centrafricana (EURFOR RCA), unico vero successo dell’incontro, seppur con qualche ombra come lo smarcamento di Germania e Regno Unito che forniranno solo sostegno logistico.
Ma sono soprattutto alcuni atteggiamenti ad aver colpito: in particolare sul versante africano.
Durante la conferenza stampa di chiusura mentre i presidenti di Commissione e Consiglio Europeo, Barroso e Van Rompuy, snocciolavano i numeri delle risorse stanziante dall’Ue a favore dell’Africa, circa 28 miliardi di euro dal 2014-2020, il presidente della commissione dell’Unione africana, Dlamini Zuma, sottolineava la possibilità di costruire una relazione che garantisca vantaggi complementari per Africa ed Europa. Un discorso che non poggia su quella idea, per molti aspetti retorica, di una “relazione tra eguali” più volte evocata da Barroso, ma su costatazioni pragmatiche.
Tra gli esempi concreti di collaborazione il presidente della Commissione dell’UA, ha citato ad esempio il ruolo che l’Europa potrà avere nel valorizzare la forza lavoro africana, trasferendo le proprie tecnologie in Africa e contribuendo allo sviluppo industriale del continente. Una crescita di cui potranno avvantaggiarsi anche le imprese europee. Vi è poi il tema dell’energia (in particolare delle fonti rinnovabili), dello sviluppo agricolo, della pesca e del turismo.
Questo perché i leader africani, forse più della controparte europea, hanno in mente in maniera chiara la posta realmente in gioco: il futuro di quei 10 milioni di giovani africani che ogni anno entrano nel mercato del lavoro e si ritrovano, in molti casi, senza occupazione.
È questa, come ha indicato ad Africaeuropa anche Geert Laporte, direttore aggiunto dell’ECDPM, la sfida più difficile che attende i due continenti. Una sfida da vincere se vogliamo che la relazione tra Africa ed Europa diventi realmente virtuosa e, sopratutto, se vogliamo evitare che Lampedusa diventi la città più popolosa d’ Europa e il Mediterraneo continui ad essere trasformato nel più grande dei cimiteri.