Il sito africaeuropa prende il largo in un momento non casuale. Tra meno di un mese, il 2 e 3 aprile prossimi, i leader dell’Unione europea, dell’Unione Africana, insieme a decine di presidenti e delegazioni degli Stati di Africa ed Europa si ritroveranno a Bruxelles per il quarto UE-Africa Summit che segue gli appuntamenti de “Il Cairo” (2000), Lisbona (2007) e Tripoli (2010).
Molti i temi in agenda alla due giorni che avrà il titolo: “Investing in People, Prosperity and Peace”: educazione e formazione, donne e giovani, flussi migratori, crescita economica e occupazione. Senza dimenticare il capitolo della pace e il contributo che l’Unione europea potrà dare nel supportare le capacità africane di gestire la sicurezza nel continente.
Questo almeno quello dichiarato dagli organizzatori, ma il rischio (e il sospetto) è che le questioni contingenti rischino di far deragliare l’appuntamento di Bruxelles.
A partire dalle crisi aperte nei due continenti con la diplomazia europea con gli occhi fissi alla crisi ucraina e quella africana intenta a cercare soluzioni – che al momento appaiono lontane – per le crisi in Repubblica Centrafricana, Sud Sudan e, più in generale, per l’instabilità che sta sempre più contraddistinguendo l’area del Sahel.
Una regione che sta vivendo, in questi ultimi mesi, un nuovo capitolo dell’interventismo francese in Africa.
Ma l’incontro di aprile sarà soprattutto l’occasione per fare il punto sull’ andamento della JAES, la Joint Africa-Eu Strategy, lanciata nel 2007 proprio per ridisegnare le relazioni tra i due continenti ed in particolare tra Unione Europea ed Unione Africana. Una nuova partnership – questo il termine utilizzato – mai realmente decollata.
Tra i nodi critici – solo per citarne uno non marginale – il tema del finanziamento della stessa JAES e delle sue attività finanziate per la quasi totalità da fondi europei con il rischio di alimentare un profondo squilibrio decisionale.
IL FERMENTO AFRICANO E LA VECCHIA EUROPA
Se è vero che in questi ultimi dieci anni, grazie al protagonismo di nuovi attori internazionali (non solo la Cina, ma anche India, Brasile, Turchia, Giappone), il continente africano ha conosciuto un fermento economico crescente, pur con le differenze che andrebbero sempre fatte tra le differenti aree regionali, non possiamo dimenticare come l’Unione Europea rappresenti ancora il principale partner commerciale dell’Africa e il più grande donatore.
All’interno del budget pluriennale per il periodo 2014-2020 sono stati stanziati 19,7 miliardi di euro che saranno gestiti dalla Commissione europea per la cooperazione allo sviluppo (DCI – Development Cooperation Instrument). A questi si aggiungono i 30,5 miliardi di euro messi a disposizione, per lo stesso periodo, dall’11° European Development Fund, che lega l’UE ai Paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) secondo gli accordi di Cotonou.
Una quantità ingente di fondi non sempre gestita nella maniera più efficace (anche a causa della sovrapposizione di agenzie e canali diversi) che ha spinto, negli ultimi anni, ad elaborare la cosiddetta “Agenda for Change”, proprio nel tentativo di migliorare l’efficienza degli aiuti.
Anche si questo si parlerà al Summit di Bruxelles, cercando di fornire nuovi elementi anche al complicato dibattito attorno alla strategia “post-2015” che andrà a proseguire il percorso avviato dalle Nazioni Unite con la campagna degli “Obiettivi del Millennio”.
I NODI SCOPERTI
Ma le relazioni tra i due continenti non possono essere ridotte ad una mera questione di aiuti allo sviluppo e risorse destinati a progetti di cooperazione o sostegno ai diritti e alla democrazia. Seppur in calo, da un punto di vista percentuale, data la crescita delle relazioni con il continente da parte di nuovi attori, i legami politici, commerciali e demografici tra i due continenti sono quanto mai importanti (guarda la scheda di africaeuropa).
Ed è proprio su questi altri temi – forse i più importanti per arrivare ad un nuovo equilibrio, verrebbe da dire moderno, tra Africa ed Europa – che si potrebbero avere le maggiori fratture.
A partire dal controverso capitolo degli EPAs, gli accordi di partenariato economico che dovrebbero ridisegnare le relazioni commerciali tra Africa ed Europa portando alla ridefinizione degli accordi di Cotonou. Sul piatto la possibilità di garantire l’accesso facilitato al mercato europeo dei prodotti africani, ma anche quello dei prodotti europei in Africa. Una liberalizzazione dei traffici – giustificata dai promotori con la necessità di rispettare le regole stabilite dall’Organizzazione Mondiale del Commercio – che potrebbe avere effetti negativi sulle economie dei singoli Paesi e, in alcune regioni, creare ostacoli oggettivi al cammino di integrazione economica e politica.
IL MOMENTO SBAGLIATO
Anche la tempistica scelta per il Summit, almeno sul versante europeo, potrebbe avere delle ricadute negative: siamo a meno di due mesi dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo che porterà con sé il rinnovo delle principali cariche alla guida delle Istituzioni comunitarie. Alla prima sessione plenaria del 14-17 luglio il Parlamento europeo nominerà il nuovo Presidente della Commissione, che entrerà in funzione, insieme ai nuovi 28 commissari, all’inizio di novembre. Tra questi ci sono ruoli chiave per le relazioni tra Europa e Africa a partire dal sostituto della baronessa Cathrine Asthon, Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, del commissario europeo agli affari interni (con delega alle questioni migratorie), del commissario allo sviluppo, di quello al commercio, (che sta affrontando il delicato dossier degli EPAs) o del commissario alla Cooperazione, aiuti umanitari e risposta alle crisi.
Un mese dopo l’entrata in funzione della nuova Commissione toccherà, invece, alla nomina del nuovo Presidente del Consiglio Europeo che dovrà sostituire Herman Van Rompuy, il cui secondo mandato scadrà il 1 dicembre.
Pur riconoscendo come all’interno del mondo della diplomazia molti dei dossier vengano portati avanti da funzionari che lavorano quotidianamente e che, probabilmente, resteranno a dare continuità al lavoro svolto, non si può negare come questi cambiamenti potrebbero avere il loro peso. Dall’altra parte, anche la futura composizione del Parlamento UE (con la possibile crescita dei Paesi anti-europeisti) potrebbe portare a irrigidimenti su alcune questioni che saranno in agenda a Bruxelles, a partire dal dossier “migrazioni”.
LA NECESSITÀ DI DARSI DELLE PRIORITÀ
Un groviglio complesso di interessi e posizioni da cui, secondo gli esperti dell’European Centre for Development Policy Management (ECDPM), si potrà uscire solo dando delle priorità al Summit.
Se guardiamo alla Africa-Eu partnership nel 2014, è ovvio che il darsi delle priorità non è più una scelta ma una necessità politica se si vuole che il 4° Summit abbia successo e porti questa relazione verso un nuovo dinamismo. Ma per farlo sarà necessario risolvere la questione della leadership sia a livello di UE che di UA.
Le priorità indicate dall’ECDPM nel loro paper pubblicato nel dicembre 2013 sono: Primavera araba e migrazioni, sicurezza alimentare e Post-2015 agenda.
Non ci resta che aspettare per scoprire se il Summit di Bruxelles sarà quell’occasione di rilancio per la partnership afro-europea auspicata da più parti o se si rivelerà. invece, l’ennesima occasione mancata.