Un gioco semplice sul lettone prima della nanna: Giuseppe – 15 mesi – si alza incerto in piedi, stacca per un attimo le mani dalle gambe di mia moglie e, poi, giù in un tuffo a rimbalzare sul materasso. Sul volto una risata. E poi ancora su, alzandosi con fatica e di nuovo giù. Non una, non due, ma tre, quattro, dieci volte.
Tante volte in questi giorni (e non solo oggi) mi sono trovato a pensare alla fortuna che ha Giuseppe e io prima di lui. Perché lui è qui oggi a giocare sul letto mentre altri bimbi sono rinchiusi senza più respiro in una cassa di legno bianca, disposta ordinatamente in fila con decine di altre in un palazzetto dello sport in Calabria.
Perché lui è qui e altri sono persi nel mare o nel deserto, chiusi in uno scantinato per sfuggire alle bombe o in coda per una tazza di té in qualche campo profughi. Perché .. E, permettetemi, qui le grandi domande sul senso del dolore c’entrano poco specie di fronte a chi è vittima di scelte politiche ed economiche ben precise.
Specie per chi è vittima di tragedie annunciate, per fatti che smuovono le coscienze solo perché avvengono a pochi metri dalla costa e non in mezzo al mare…